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lunedì 24 novembre 2014

La porta che si chiude


Tu lo vedi, sorella: io sono stanca, 
stanca, logora, scossa, 
come il pilastro d’un cancello angusto 
al limitare d’un immenso cortile; 
come un vecchio pilastro 
che per tutta la vita 
sia stato diga all’irruente fuga 
d’una folla rinchiusa. 
Oh, le parole prigioniere 
che battono battono 
furiosamente 
alla porta dell’anima 
e la porta dell’anima 
che a palmo a palmo 
spietatamente 
si chiude! 
Ed ogni giorno il varco si stringe 
ed ogni giorno l’assalto è più duro. 
E l’ultimo giorno 
– io lo so – 
l’ultimo giorno 
quando un’unica lama di luce 
pioverà dall’estremo spiraglio 
dentro la tenebra, 
allora sarà l’onda mostruosa, 
l’urto tremendo, 
l’urto mortale 
delle parole non nate 
verso l’ultimo sogno di sole. 
E poi, 
dietro la porta per sempre chiusa, 
sarà la notte intera, 
la frescura, 
il silenzio. 
E poi, 
con le labbra serrate, 
con gli occhi aperti 
sull’arcano cielo dell’ombra, 
sarà 
– tu lo sai – 
la pace.

(Antonia Pozzi)




Madame X

Io non sono il mio corpo. 
Mi è straniero, nemico. 
Ancora peggio è l’anima, 
e neppure con essa m’identifico. 
 
Osservo di lontano 
le rozze acrobazie di questa coppia, 
con distacco, ironia – 
con disgusto talvolta. 
 
E intanto penso che la loro assenza 
Sarebbe più un guadagno che un dolore: 
questa e altre cose… Ma mentre le penso, 
io chi sono, e dove?
(Margherita Guidacci)

Ho aspettato troppo

Ho aspettato troppo alla fermata il 13 che porta a
S. Giovanni, 
quando è venuto era ormai inutile seguirne la direzione. 
Neppure l’asfalto comprende la notte che somma i rumori, 
spegne le luci. 
Per stagliare il corpo nello spazio bisogna avere libere le 
mani: 
le mie portano una busta di latte.
(Antonella Carosella)

La grande paura


La storia della mia persona
è la storia di una grande paura
di essere me stessa,
contrapposta alla paura di perdere me stessa,
contrapposta alla paura della paura.
Non poteva essere diversamente:
nell’apprensione si perde la memoria,
nella sottomissione tutto.
Non poteva
la mia infanzia,
saccheggiata dalla famiglia,
consentirmi una maturità stabile, concreta.
Né la mia vita isolata
consentirmi qualcosa di meno fragile
di questo dibattermi tra ansie e incertezze.
All’infanzia sono sopravvissuta,
all’età adulta sono sopravvissuta.
Quasi niente rispetto alla vita.
Sono sopravvissuta, però.
E adesso, tra le rovine del mio essere,
qualcosa, una ferma utopia, sta per fiorire.
(Piera Oppezzo)