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lunedì 30 marzo 2015

Do not go gentle into that good night

Do not go gentle into that good night,

Old age should burn and rave at close of day;
Rage, rage against the dying of the light.

Though wise men at their end know dark is right,
Because their words had forked no lightning they
Do not go gentle into that good night.
Good men, the last wave by, crying how bright
Their frail deeds might have danced in a green bay,
Rage, rage against the dying of the light.
Wild men who caught and sang the sun in flight,
And learn, too late, they grieved it on its way,
Do not go gentle into that good night.
Grave men, near death, who see with blinding sight
Blind eyes could blaze like meteors and be gay,
Rage, rage against the dying of the light.
And you, my father, there on the sad height,
Curse, bless me now with your fierce tears, I pray.
Do not go gentle into that good night.
Rage, rage against the dying of the light.

Non andare docile in quella buona notte,
I vecchi brucino infervorati quando è prossima l’alba;
Infuriati, infuriati contro il morente bagliore.
Benché i savi infine ammettano ch’era giusta la tenebra
Poiché le loro labbra nessun fulmine scagliarono
Non se ne vanno docili in quella buona notte.
Gli onesti, nell’onda ultima, urlando quanto fulgide
Le fragili opere potevano danzare in verdi anse
Infuriano, infuriano contro il morente bagliore.
I bruti che strinsero e cantarono il sole in volo,
E tardi appresero d’averne afflitto il corso,
Non se ne vanno docili in quella buona notte.
Gli austeri, morenti, scorgendo con vista cieca
Che gli occhi infermi splendono e gioiscono come bolidi
Infuriano, infuriano contro il morente bagliore.
E tu, padre mio, là sulla triste altura, ti prego,
Condannami, o salvami, ora, con le tue fiere lacrime;
Non andare docile in quella buona notte.
Infuriati, infuriati contro il morente bagliore.
DYLAN THOMAS
(Il problema di questa poesia è principalmente nel ritmo, trattandosi di una villanella, componimento che, nell’originale, è un vero e proprio canto)



Una nuova amica


                                 
                                    I mille travestimenti del desiderio.

Una nuova riflessione rivolta ancora all'universo femminile, quella che propone l'ex enfant prodige François Ozon, prendendo spunto dal romanzo di Ruth Rendell dal titolo omonimo.
Un'amicizia sugellata dal sangue fin dall'infanzia, quella che lega Claire e Laura(Anaïs Demoustier e Isild Le Besco),sebbene vissuta da Claire sempre all'ombra e al traino dell'amica. Dopo il matrimonio quasi in sincronia, la morte di Laura che segue la nascita della piccola Lucie, interrompe la simbiosi; lasciando Claire profondamente disorientata ma decisa a rimanere presente nella vita della piccola e del vedovo David(Romain Duris).
Una visita a casa della defunta, qualche giorno dopo i funerali, rivelerà a Claire l'unico segreto non condiviso dall'amica; quello che riguarda l'abitudine sporadica di David di travestirsi da donna. Dalla sorpresa e dal rifiuto immediato nell'accettare le motivazioni di David, Claire passerà dopo poco, a condividere una tenera complicità con la “nuova amica” Virginia. Così infatti, battezza la nuova identità di David, mentendo e nascondendo il tutto al marito Gilles(Raphaël Personnaz).Per i due, inizia un periodo spensierato e leggero, che attraverso una rielaborazione del proprio vissuto, tra uno shopping e una seduta di depilazione, li porterà a riappropriarsi dei loro desideri più profondi e sentiti. Approfittando di una vacanza in campagna, guadagnata con una bugia detta a Gilles e lontani fisicamente dalla realtà quotidiana; David/Virginia e Claire, si abbandonano totalmente al fluire naturale dei desideri che fino ad allora e per motivi diversi, avevano soffocato. Scoprendo durante una particolare serata in discoteca,complice la musica, la piacevolezza di pulsioni nuove ed inaspettate.
Vivono così e per la prima volta, l'ebbrezza di un sentimento di assoluta libertà, che sembra avvicinare entrambi ad una reale rinascita delle loro identità ,identità libere e progressivamente sempre più affrancate,che il regista mostra senza contorni e volutamente non definite.
Ma Claire mostra di dover fare ancora i conti con qualche ombra interiore che fa capolino dal passato,soprattutto dopo l'incidente occorso a David che sconvolge tutti con la sua rivelazione..
Il divertissement di Ozon ha questa volta i colori del mèlo, che dopo una partenza promettente, lascia via via chi si aspettava colpi di scena e snodi empaticamente emozionanti, sempre più delusi. La favola che lascia fuori
il mondo, relegando al marito incolore Gilles e alle figurine ridicole dei suoceri il compito di rappresentare la società ipocrita e repressiva (Aurore Clément e Jean-Claude Bolle Reddat),non sembra questa volta del tutto riuscita.
Dopo la bellissima accoppiata regalataci con Nella casa e Jeune et Jolie, Ozon pur mantenendosi coerente allo stile di lucido ed originale scompaginatore, che contraddistingue la sua evidenza cinematografica; questa volta non è sorretto nè dalla sceneggiatura nè dalla consueta fluidità registica che si adeguano opportunamente a quel che vuole rappresentare. Tant'è che la patinata fotografia e le lacune di sceneggiatura, consentono più di un momento di noia e prevedibilità.Le azioni dei personaggi per i quali,il regista ha voluto scientemente evitare qualsiasi implicazione e conseguenza sociale di approfondimento,finiscono così per risultare lontani ed irrimediabilmente freddi,ingessati ed incapaci di suscitare reale empatia o emozione.La tensione ed il ritmo risultano progressivamente compromessi, ad eccezione degli unici momenti significativamente più riusciti:quello nella discoteca gay sulle note di “Une femme avec toi”e successivamente,sulla stessa musica, in ospedale al capezzale di David. Solo in queste due scene fa capolino l'Ozon che amiamo e che sa regalare autentici brividi di vita.
Dispiace per l'occasione mancata che da luogo ad un pastiche,dove Freud convive irrisolto con richiami glam del miglior Hitchcock, senza avere del grande maestro né il ritmo tensivo né la vitale leggerezza.
Citiamo il lodevole lavoro degli interpreti tutti bravi, a cominciare da Anaïs Demoustier a Romain Duris.
Ma se un film è sempre,in qualche modo,racchiuso nel suo finale; personalmente, questo non ha fatto altro che confermarne le perplessità.
Al prossimo giro!Certi del tuo grande talento.

Da vedere


martedì 24 marzo 2015

Vizio di forma (Inherent Vice)


    Il ponte sospeso del desiderio,tra sogno e risveglio,nei colorati anni70'.

Di non facile approccio questo Vizio di Forma,ultimo capitolo nella filmografia di Paul T. Anderson;
tratto dall'omonimo racconto di Thomas Pyncheon, monolite e scheggia impazzita della letteratura post moderna americana . Ma al Nostro non difetta evidentemente nè coraggio nè il gusto della sfida, se ha deciso di misurarsi con lo scrittore meno catalogabile e dalla scrittura più stratificata e camaleontica della letteratura americana negli ultimi 30 anni. Il personaggio di Sortilège(la cantautrice ed arpista Johanna Newsom) voice over di tutto il film ed all'uopo presenza in carne ed ossa; è il Virgilio che ci introduce,sullo sfondo della spiaggia di Gordita Beach in California, nella vita del detective “fattone”Doc Sportello(uno strepitoso Joaquin Phoenix).
E dalle nebbie di un passato felice e mai oscurato nel ricordo,compare all'improvviso la ex Shasta Fay(rivelazione Caterine Waterston), che gli chiede aiuto per indagare sulla scomparsa del suo attuale amante, il miliardario Mickey Wolfmann(Eric Roberts),supponendo un complotto ordito dalla moglie per eliminarlo e nel quale coinvolgerla.
Questo l'incipit che mette in moto il “viaggio” di Doc per dipanare il caso, e lo porterà ad interloquire con il poliziotto irrisolto "Bigfoot" Bjornsen(l'ottimo Josh Brolin),il sassofonista tossico e spia in incognito Coy Harlingen(un candido Owen Wilson),la disinvolta procuratrice ed attuale compagna Penny Kimball(Reese Witherspoon), l'amico avvocato Sauncho Smilax(Benicio Del Toro),il capo di una lobby di dentisti Rudy Blatnoyd(Martin Short), ed una fantasmagorìa di bizzarri e colorati personaggi che faranno da contrappunto ritmico allo svolgersi del racconto.
Il viaggio di Doc nella California simbolo e contenitore di tutte le istanze dell'America dei Seventines, che segue con la sua ubriacatura,i favolosi 60,anni del sogno e della possibilità; procede attraverso i colori di una realtà lisergica,filtrata dall'espressione degli occhi sgranati di Doc, in continua oscillazione tra l'incredulità divertita(e si ride molto in buona parte del film) e lo smarrimento impotente. L'interazione di Doc con gli altri protagonisti,costituisce per l'indagine, ora una sosta, ora una digressione, ora un diversivo depistante. Con una serie di rimandi continui ad altri possibili percorsi e scenari,e con l'insorgere di nuovi dubbi e sorprese eventuali ed inaspettate. Pur considerando i richiami letterari e cinematografici nel solco del noir, che vanno dal Chandler più classico, alla rilettura del Lungo addio fatta da Altman,e del quale Anderson ha sempre dichiarato di sentirsi figlio; Doc mostra un atteggiamento in parte ancora non disincantato, come molti dei personaggi che lo circondano, e questo consente ad entrambi, una distanza spensieratamente autarchica,una sorta di collocazione atemporeale ed ironica del proprio“sentire”; pur trovandosi totalmente immersi nella realtà storica dell'America dove si incrociano ed incombono cupamente,le figure di Nixon e della setta Manson .Gli stretti primi piani, usati per lo più da Anderson nel film insieme a campo e controcampo, ci riportano al disegno sostanziale di una geografia dell'anima che vuol “sentire”, al di là della storia nella quale è inserita. E' un territorio di confine,il luogo dove Doc vagheggia pur sapendolo impossibile, il ritorno “ad un giorno di pioggia dove con Shasta è stato felice, senza perchè e senza preavviso”. E' lì, che malinconicamente mentre sussiste un risveglio straniante, si anela contemporaneamente un impossibile ritorno;nella consapevolezza finale che può portare soltanto,”a fare del nostro meglio”. Il film sembra senz'altro cogliere il mood, sospeso e cristallizzato in questa tensione dell'anima verso una condizione inconsapevolmente felice, che sappiamo ormai pregiudicata e lontana.Lo stesso Doc reca scritto,quasi a monito, sulla porta del suo ufficio LSD. E l'acronimo,in questo caso ,sta per Localizzazione, Sorveglianza,Discrezione. Quasi un'anticipazione della feroce restaurazione che di lì a poco avrebbe annientato quelle pulsioni,travolgendo l'America e non solo.
Va sottolineato il lavoro meticoloso di ricostruzione degli anni 70, nei costumi nelle scenografie e nella splendida fotografia di Robert Elswit, che si muove tra le nebbie delle luci a neon ed i colori di una solare California; esaltata ad hoc peraltro , dall'uso del 35 mm. Evocative e puntuali le musiche di Jonny Greenwood, con la canzone cameo di Neil Young “Journey Through the Past”.
E' da ritenersi senz'altro colpevole, chi non riconoscendo la grandezza di questo film,lo ha ascritto ad uno dei minori di Anderson. Ed ancor più incomprensibile, risulta la mancata candidatura di Phoenix
agli oscar.
Da vedere






sabato 21 marzo 2015

PRIMAVERA







Ritornare al denso, splendido tepore/
che richiama il cielo invitto,
dinanzi Giotto,solidale.
Di consueto/
si torna a cavalcare abbagli/
pollòni imperiosi, dell'età divina/
mentre dolci nostalgie, vanno ritemprandosi/

in opportuni sogni.
©®

mercoledì 11 marzo 2015

Noi e la Giulia: un agriturismo(forse) ci salverà.


Alla sua terza prova come regista, Edoardo Leo si conferma come uno tra i più originali e promettenti nomi della nuova commedia all’italiana; qui anche in veste di sceneggiatore ed interprete.
Il film nasce dal romanzo di Fabio Bartolomei “Giulia1300 e altri miracoli”, dove la Giulia del titolo, è un’auto attorno alla quale, ruoteranno molti degli inneschi comici del film. Protagonisti tre non  giovanissimi “losers”, (Luca Argentero, Edoardo Leo, Stefano Fresi) che spesa ogni energia e possibilità nella vita ricattatoria che  sola, sembra offrire la  grande città, decidono di attuare ciascuno, il proprio piano B.
L’idea, che il caso accomunerà, facendo incontrare i tre, è l’acquisto di un casale da ristrutturare nel verde della campagna per farne un agriturismo. A loro si unirà in seguito, il creditore Claudio Amendola, rivoluzionario d’antan e Anna Foglietta, hippye incinta e un po’ svanita. Superate le prime difficoltà sia di convivenza che caratteriali e aiutati da un provvidenziale vicino, contadino extracomunitario in Italia, ma con un passato da principe nel suo paese; i tre riceveranno alla vigilia dell’inaugurazione, la visita inaspettata di un bizzarro malavitoso (Carlo Buccirosso), che si presenterà a bordo di una macchina(la Giulia del titolo) accessoriata in maniera particolare…
Il film vuole ispirarsi alla grande tradizione dei personaggi monicelliani, velleitari e poveracci che solidarizzano facendo gruppo, all’ombra di una realtà disumana e disumanizzante che li respinge. Decidendo quindi di investire se stessi o quel che ne rimane,nel sogno,visto come alternativa possibile o piano di “riserva”. I personaggi in verità, soffrono un po’ gli stereotipi del caso e partono in leggero affanno anche dal punto di vista della coralità d’insieme, soprattutto negli snodi dove si potrebbe affondare e non lo si fa, dove si dovrebbe osare e si rimane un passo indietro. Singolarmente tutti bravi gli attori; da menzionare uno strepitoso Carlo Buccirosso che ahimè riesce a rendere simpatico anche un camorrista e la stralunata ma tenera Anna Foglietta.
Claudio Amendola poi, surreale comunista dal cazzotto d’oro, è protagonista di un esilarante momento cult del film,armato di falce e martello! Il film è ben girato e indulge solo nella parte finale in qualche ralenti di troppo. Magari gli avrebbe giovato qualche minuto in meno così come evitare qualche inutile ripetizione. Nell’insieme si lascia vedere con piacere e mostra la sempre maggiore disinvoltura del regista Leo, anche nel dirigere gli attori.
Dunque, tentativo originale e sufficientemente riuscito di affrancarsi da un cinema che insegue la risata per la risata.
Suggerisco agli spettatori ai quali questo film è piaciuto, un altro film, che sebbene molto diverso nelle intenzioni e nel mood, condivide con Io e la Giulia alcune interessanti suggestioni: Una piccola impresa meridionale, di Rocco Papaleo.
Forse, davvero un agriturismo ci potrà salvare.
Da vedere!