Translate

sabato 23 maggio 2015

Garrone seduce e incanta,dipingendo pulsioni ancestrali e moderne. Il racconto dei racconti


Nell'approcciare l'ultimo film di Garrone, tratto dal secentesco “Lo cunto de li cunti”del napoletano Basile, bisognerebbe staccarsi mentalmente ed emotivamente dall'idea di fantasy così come è proposto oggi nel cinema mainstream. Garrone infatti, utilizza tre delle cinquanta favole-cunti,(Lo police,La donna scortecata e La cerva fatata)solo come spunto iniziale per approntare il “suo” film, che del tessuto narrativo archetipico delle favole in genere,e di quelle di Basile nel caso, accoglie principalmente i caratteri essenziali della universalità atemporale e della carnalità più umana e ferina, frequente terreno di incontro-scontro, con il magico ed il surreale.La scelta che traduce questo humus narrativo di partenza, in linguaggio cinematografico, è poi di assoluta libertà autoriale,e ci immerge nel personalissimo immaginario visuale del regista,popolato di temi e simbolismi che hanno caratterizzato tutti i suoi film precedenti.Nelle tre storie percepite come un'unicum,sebbene separate,confluiscono intrecciandosi i tòpoi del cinema di Garrone: la trasformazione del corpo, i meandri della mente, l'amore coercitivo,la solitudine ineluttabile,l'arroganza del potere,e l'inganno usato per imbrigliare la libertà e l'emancipazione.Tutta una materia favolistica- e incandescente per definizione-sia essa umana o bestiale, che nel delineare i suoi personaggi ne scarnifica i valori e mette a nudo gli istinti primordiali fino a renderli entrambi attigui e poco distinguibili. Garrone tratteggia con gusto e capacità pittorica squisita(è nota la sua formazione artistica),sullo sfondo iperrealistico di paesaggi e scenari reali(tutti italiani),il tempo sospeso dell'incanto;sostenuto dalla fotografia dello straordinario Peter Suschitzky. L'alto e il basso, il mostruoso e il bizzarro convivono nei tre racconti con la normalità fatta di dettagli e realtà minimale,in un equilibrio composito che Garrone rispecchia dalle parole di Basile: “l'equilibrio del mondo richiede d'esser mantenuto” e lo sarà, soprattutto attraverso il prezzo del coraggio e sacrificio”. Ma Garrone lavora anche per sottrazione, perchè non carica come ci si aspetterebbe,con una partecipazione sentimentale e di sguardo il film o i personaggi; ma mantiene una distanza con quanto rappresentato, che sembra solo in apparenza, condizionare il ritmo o l'adesione emozionale al film;
in realtà, consegna attraverso questa voluta distanza allo spettatore,quasi cristallizzandoli,il senso dello stupore e l'ammirazione che dovrebbe conseguirne.
Il film regala scene ed immagini di potente suggestione e bellezza,tra le tante:il duello subacqueo tra il re e il drago marino(le meravigliose gole dell'Alcantara in Sicilia), ed il fermo immagine di un ponte sospeso che è la sintesi perfetta di quanto detto,a proposito della capacità pittorica di Garrone. La bella colonna sonora di Desplat, lascia opportunamente spazio ai silenzi parlanti del film.
Il cast d'eccellenza straniero(Salma Hayek,John C.Reilly,Toby Jones, Vincent Cassell) giustificato dalla coproduzione internazionale, non dice niente di nuovo a quanto già conosciuto.
Promette bene, l'esordiente Bebe Cave, nel ruolo della principessa Viola.
Bravi, con la sempre presente(ma ce ne siamo fatti ormai una ragione) Alba Rohrwacher, il redivivo Massimo Ceccherini, e Renato Scarpa.
Un film coraggioso (il film è prodotto anche dallo stesso Garrone) e originale, una rilettura personalissima e per certi versi spiazzante, del genere fantasy. Che rimanda nel ricordo a certo cinema di Pasolini(le favola iperrealistica di Uccellaci e Uccellini) e al visionario esperimento formale de I colori della passione di Lech Majewski.
Un regista che ama le sfide e non si adagia al consenso Garrone.
E questa personale riproposizione della fabula (con la sua valenza educativa e terapeutica),resta all'ammirazione
di una umanità che oggi più che mai, sembra aver smarrito la sua pietas.

Da non perdere




venerdì 22 maggio 2015

Pas son genre

Non sono barriere architettoniche ma culturali, quelle che separano Jennifer (Émilie Dequenne) e Clément Le Guer (Loïc Corbery);lei solare parrucchiera nella cittadina di Arras e lui professore di filosofia,che ad Arras  è finito per un malaugurato trasferimento dall’amata Parigi. Dal romanzo di Philippe Vilain “Pas son genre” (edito in Italia da Gremese ed.col titolo Non il suo tipoLucas Belvaux ex attore oggi originale regista a tempo pieno, trae con raffinata maestrìa e grazia tutta francese(ma belga di nascita nda),un interessante capitolo cinematografico sull’eterno argomento dell’amore in coppia. Osserva  l’incontro/scontro dialettico-sentimentale tra due condizioni sociali, due culture e le diverse aspettative dei due protagonisti.B.lascia trasparire i diversi punti di vista e i pregiudizi che i protagonisti hanno l’uno verso l’altro, riuscendo a non essere partigiano e restituendo allo spettatore la poliedricità del loro “discorso amoroso”; nonchè lo spessore e la profondità che scaturiscono dall’osservare le loro reazioni,in special modo di Jennifer,che le esprime in maniera mai banale o scontata.Una messinscena che lascia libero lo spettatore nel suo giudizio, pur lasciandolo empaticamente coinvolto da una suspence emotiva che ha il suo clou nel bellissimo finale.L’algido e cinico  Clément intepretato dall’ottimo Corbery, tra una lezione di filosofia impartita ai suoi studenti  ed una lettura di Kant imposta a Jennifer, passa dalla noia iniziale della vita di provincia, all’inaspettato coinvolgimento erotico che gli offre la conoscenza della seducente coiffeuse. Apparentemente,sempre più disposto ad affacciarsi nel mondo di Jennifer fatto di piccole cose: come cantare al karaoke e interessarsi alla vita dei vip aggiornata sui rotocalchi rosa . Jennifer d’altro canto,con la sua spontanea solarità unita ad un pragmatismo rodato dalla indipendente e coraggiosa esperienza di madre separata con un bambino, inizia ad incrinare il muro di provvisorietà,che gli oppone e dietro il quale, si nasconde  Clément:-J.“Dicono che in una coppia c’è sempre uno che ama più dell’altro.Tu ci credi?”-C.”Non lo so non mi sono mai posto la questione”-J.”Ecco, il signor-so-tutto diventa il signor non lo so!come ti spieghi che un uomo che sa tante cose non sa niente riguardo ai sentimenti?”e Clément a Jennifer:-” Dei libri mi hanno cambiato la vita. E tu l’hai cambiata alle ragazze a cui hai cambiato acconciatura”.Contrariamente alle molte donne del suo ambiente parigino, che ha lasciato perchè “l’amore non deve trasformarsi in una prigione”;Clément percepisce,anche se in maniera molto labile, che forse J. potrebbe essere quella giusta: la donna, che sembra aver disattivato la modalità di cinica anafettività che regna nella sua vita. Ma un giorno accade che un libro scoperto per caso in libreria, scuote Jennifer, completamente asservita per amore a  Clément, e la induce a rielaborare il suo percorso sentimentale,delegando alle parole di una canzone di Gloria Gaynor lo struggente messaggio che idealmente, ha come ultimo destinatario Clément, ma è anche il coraggioso e probabile incipit di una nuova e più consapevole  rinascita come donna.Émilie Dequenne,è la strepitosa interprete di Jennifer,che malgrado la bravura del collega Loïc Corbery nei panni del non simpaticissimo  Clément, ruba la scena per buona parte del film regalandoci con una adesione totale e fisica al personaggio, alcune scene di rara intensità interpretativa.Già premiata in passato come miglior attrice,da esordiente assoluta, per Rosetta dei Dardenne; la Dequenne disegna con Jennifer un ritratto di donna che si muove tra i canoni più classici con una modernità assoluta.Attrice non prolifica, può vantare di avere ora al suo attivo due indimenticabili interpretazioni. Mentre la regia di Belvaux pone sotto i riflettori un interessante regista,che converrà tenere sempre più d’occhio, in futuro.

Da non perdere.