Translate

lunedì 26 aprile 2021

Nomadland


 

L'innarestabile ascesa di Nomadland, con tutta probabilità, porterà la regista cinese C.Zhao a conquistare l'ambitissimo riconoscimento nella prossima cerimonia degli Oscar 2021; coronando una carriera che a soli 39 anni e tre lungometraggi, l'ha imposta all'attenzione mondiale. Dopo il fortunato esordio di Songs My Brothers Taught Me (2015)presentato al Sundance festival e a Cannes; ottiene con il successivo The Rider (2017) di cui è sceneggiatrice, regista, coproduttrice e montatrice; i significativi riconoscimenti ISA, nell'ambito del cinema indipendente. Nel 2020 scrive, gira, coproduce e monta Nomadland che gli vale il pieno riconoscimento internazionale vincendo il Leone d'oro a Venezia, i recenti Golden Globe per miglior regia, miglior film drama, e una sfilza di altri prestigiosi riconoscimenti. Ispirato dal libro inchiesta omonimo di Jessica Brudel, il film  esplora il fenomeno di una parte crescente di americani, che per la crisi economica culminata nella grande recessione del primo decennio del 2000, e in una situazione crescente di disoccupazione in nulla tutelata dall'assenza di welfare e assistenza sanitaria; non riesce ad accedere alle condizioni minime, necessarie per una sopravvivenza decorosa. Una umanità trasversale per età, provenienza sociale e culturale, che si trova ad accettare-prevalentemente per necessità- (anche se il film via via, sembra sposare la tesi di una scelta alternativa e libertaria utile a  reinventare i valori fondanti del vivere )lavori stagionali che implicano un'esistenza nomade. Stazionando in parcheggi- comunità per camperisti, che si susseguono a partire dalle spettrali lande del Nevada fino al caldo desertico degli stati del sud. Questo lo sfondo in cui si muove Fern, la protagonista: interpretata da Frances Mc Dormand. Sola, dopo la morte del marito e l’abbandono del villaggio aziendale dove abitava, dovuto alla  chiusura della fabbrica di Empire nel Nevada: la vediamo raccogliere i pochi oggetti, che hanno il valore di racchiudere la sua vita vissuta fino a quel momento, e trasformare un piccolo van adibendolo  a nuova casa su ruote, che ribattezza “Avanguardia”. Inizia così il suo percorso on the road, in cerca di qualunque lavoro possa garantirle la sopravvivenza. Nella prima esperienza presso un camperForce allestito da Amazon in periodo natalizio; scopriamo tanti, che similmente a lei hanno perso il lavoro e si sono ritrovati con una pensione tale da non poter sostenere il fitto di una casa stabile o pagare le spese dell'assistenza sanitaria. Attraverso gli incontri con Linda May, Swankie, e Dave (David Strathairn), veri lavoratori nomadi (ad eccezione di Strathairn )con  i quali condivide la  perdita di uno status di precedente certezza economica e sociale; Fern stringe rapporti di solidarietà e sostegno reciproco. Nell'approccio in parte documentaristico con i reali protagonisti, la regista filma la realtà mutuata dal saggio della Bruder, innestandovi la finzione del personaggio di Fern con il suo percorso emotivo ed esistenziale. I due aspetti: realtà e finzione, se si avvalgono e sostanziano della ottima performance della McD. mostrano dall'altro, i limiti imposti da una convivenza che non è del tutto riuscita. La regia della Zhao viene edulcorata e piegata artificiosamente alla sceneggiatura, dalle esigenze di una messinscena dallo stile rarefatto e forse per questo, un po' artificioso oltre che spesso, inutilmente sottolineato dalle musiche di L.Einaudi. Esibisce la predilezione (ricorrente in tutta la filmografia precedente), per gli spazi aperti e naturali opportunamente fotografati, e qui utilizzati per ammantare con la filigrana della poesia, il dolore e la durezza del contesto sociale dal quale pure ha origine, quello raccontato dalle esperienze dei protagonisti. Una tale visione d'insieme, vanifica però la scrittura dei personaggi, rappresentati in modo fin troppo asciutto e frammentario, per via dei pochissimi dialoghi che ne limitano  la potenzialità drammaturgica. Spesso, questi si limitano ad un mero scambio di battute: poche informazioni utilizzate in funzione della costruzione del personaggio di Fern che resta il focus principale del film. La scelta di casting della McD, tra l'altro, offusca e schiaccia con la sua valenza di star, la credibilità delle istanze nobilmente spirituali che animano sia la scrittura del suo personaggio che del film in sé. Tutto sembra mantenere in precario equilibrio, sia una certa ambiguità d'intenti che di toni. Interessante la figura del guru Bob Wells; reale punto di riferimento della comunità dei workcampers americani ma che, purtroppo, non viene approfondita quanto avrebbe meritato. In una intervista, C.Zhao ha dichiarato che la sua intenzione non era quella di fare un film politico, ma di essere interessata solo al percorso interiore dei personaggi. Coerentemente quindi, il perché  Fern sia così riluttante all'accettazione di uno stile di vita convenzionale e stabile, sembra solo suggerirlo una battuta della sorella Dolly, che riferendosi alla sua eccentricità sin da bambina dice: “per te, quello che era fuori era sempre più bello di quello che avevi”. Ed anche durante il  pranzo di Ringraziamento con la famiglia di Dave, che gli propone una possibile solidale convivenza, Fern confermerà la sua scelta con un rifiuto. Ritornerà subito dopo ad Empire, nell'appartamento fantasma dell'inizio. Rielaborerà a suo modo il lutto, sancendo da un lato la “non appartenza” a qualunque luogo fisico possa limitarla, tracciandone i confini. E creando dall'altro, il ricordo indelebile e vitale di una casa dell'anima, quella che porterà con sé per sempre e nuovamente, sulla strada. Di certo, quanto quest’ultima sia in direzione ostinata e contraria, non è dato saperlo.



mercoledì 10 febbraio 2021

NOTIZIE DAL MONDO( News of the World 2020)


 

                                               Il western tenero e gentile di Hanks e dell'astro nascente H.Zengel.

Regia:Paul Greengrass

Attori:Tom Hanks,Helena Zengel,Elizabeth Marvel,Mare Winningham,Neil Sandilands,Chukwudi Iwuji,Thomas Francis Murphy,Fred Hechinger

Sceneggiatura: Paul Greengrass Fotografia:Dariusz Wolski Montaggio:William Goldenberg Musiche: James Newton Howard

Netflix

                                                                        

Tratto dal romanzo di Paulette Jiles del 2016, "News”; sbarca su Netflix bypassando la sala causa Covid, l'ultimo film di Greengrass, che torna a dirigere T. Hanks dopo l'adrenalinico Captain Phillips del 2013.

Nel 1870 il veterano confederato, capitano Jefferson Kyle Kidd (Hanks), gira tra le città degli stati del sud ancora segnate dalle conseguenze del conflitto: raccontando di città in città, storie selezionate dalle notizie dei quotidiani che porta con sé.

In cambio di pochi spiccioli, legge e coinvolge con storie di coraggio, progresso e violenza, calibrate sull'umore dell'umanità che muta ogni sera e in ogni città, ma regalando attraverso la sua oratoria, sempre un motivo di speranza e riconciliazione nel futuro. Nella sua peregrinazione s'imbatterà in una ragazzina di 10 anni figlia di coloni tedeschi trucidati dalla tribù Kiowa e poi da da loro cresciuta fino alla liberazione, sei anni dopo. La scorta militare che la riaccompagnava dagli unici parenti che le restano, è un uomo di colore impiccato ad un albero con una nota razzista appuntata sul corpo. La piccola “Cicada” nome Kiowa, nel quale si riconosce la piccola Johanna Lionberger, è sola. Ancora una volta privata di una famiglia, ed estranea ad un mondo di cui non comprende neanche la lingua. Dopo il rifiuto delle autorità militari locali di accompagnarla dagli zii, Kidd si assume in prima persona il compito di riportarla dai parenti. Inizia così il viaggio di due anime ferite che stentano a comprendersi con le parole più che con gli sguardi. Il capitano Kidd attraverso il racconto di notizie “altrui”, ricaccia la possibilità di confronto con i suoi demoni interiori. Facendo intuire però attraverso la forte interiorizzazione del personaggio gli orrori visti e perpetrati e le probabili motivazioni che lo tengono lontano dalla moglie. Malgrado la sceneggiatura renda prevedibile la fine del viaggio tra i due protagonisti, e pur nel solco di un genere così ricco di storia come è il western classico, la regia riesce grazie alla performance dei due personaggi a staccarsi dai limiti angusti in cui avrebbero potuto soffocare, dando al film una rilettura fresca e commovente. Essenziale la fotografia di Wolski messa a servizio della regia: che spazia dai chiaroscuri drammatici e veristi degli interni illuminati solo dalle luci di candele, agli spazi immensi e desolati delle pianure del Texas, in un crescendo di contrasti che fanno da sfondo alla crescita del rapporto tra i due protagonisti. L'azione rivendica il suo ruolo nel dispiego della vicenda quando a Dallas, Kidd dovrà affrontare il tentativo di rapimento di Johanna/Cicada da alcuni trafficanti dediti allo sfruttamento della prostituzione minorile. Durante una fuga precipitosa tra le montagne subiranno la perdita del carro e dei cavalli. E parimenti il rapporto diverrà sempre più solidale ed intenso, con il tentativo reciproco d'imparare le rispettive lingue. Johanna riesce a comunicare a Kidd, attraverso la cultura Kiowa, la necessità di affrontare il viaggio in maniera lineare, senza deroghe. Intendendo che il dolore per il proprio passato va attraversato e affrontato per poter proseguire. E sarà così per entrambi. Dopo aver incrociato a piedi,in pieno deserto, una tribù di indiani, Johanna avrà uno dei pochissimi momenti di cedimento emotivo urlando la sua disperazione e pregandoli di riprenderla con loro, mentre incombe una memorabile tempesta di sabbia che rischierà di dividerli per sempre. Dopo averla miracolosamente superata, si ritroveranno verso la tappa finale del loro percorso... Per quanto la violenza sia ovunque, come dice Kidd, in parte, a causa dei "coloni che uccidono gli indiani per la loro terra e gli indiani uccidono i coloni per averla presa: “la guerra è finita. Dobbiamo smettere di combattere prima o poi". In queste parole si condensa il dramma di una nazione e del suo protagonista; anche se il film mantiene sapientemente il focus principalmente su di loro, mettendo i temi sociali del periodo, sempre sullo sfondo. L'interpretazione di Hanks insieme alla straordinaria Helena Zengel va sottolineata, perché resa da quest'ultima, quasi esclusivamente in assenza di dialogo. Le performances di entrambi costituiscono determinandolo, il valore aggiunto del film. Un western che racconta i giorni di una nazione che cerca di rimettere insieme i pezzi, dopo una frattura devastante con le difficoltà per la pace che derivano dal rifiuto di chi combatte ancora contro sé stessa e non trovando facilmente una via per la guarigione per le continue sollecitazioni imposte a cicatrici difficili da rimarginare. Tutto ciò non può eludere richiami ad un commento sulla situazione odierna dell'America. In questo senso speriamo che messaggio di riconciliazione che permea i due protagonisti, arrivi con opportuno tempismo, a chi avrà voglia di raccoglierlo con la visione.

Da Vedere



lunedì 20 gennaio 2020

L'Amore




Giovane amico se ami per la prima volta,
questo è miracolo della vita.
Entra nel sogno con gli occhi aperti e vivilo con amore fermo.
Il sogno non vissuto è una stella da lasciare in cielo.
Ama la tua donna senza chiedere altro all'infuori
dell'eterna domanda che fa tremare di nostalgia i vecchi cuori.
Ma ricordati che più ti amerà e meno te lo saprà dire.
Guardala negli occhi affinché l'anima tremi
e le veli di una lacrima la pupilla chiara.
Stringile la mano affinché le dita si svincolino
con il disperato desiderio di riunirsi ancora,
e le mani e gli occhi dicano sicure promesse del vostro domani.
Ma ricorda ancora che se i corpi si riflettono negli occhi,
le anime si vedono nelle sventure:
Non sentirti umiliato nel riconoscere una sua qualità che non possiede.
Non crederti superiore, poiché solo la vita
dirà la vostra diversa ventura.
Non imporre la tua volontà a parole ma soltanto con l'esempio;
ed anche questa sposa tua compagna
di quell'ignoto cammino che è la vita,
amala e difendila poiché domani ti potrà essere di rifugio.
E sii sincero giovane amico: se l'amore sarà forte
ogni destino vi farà sorridere.
Amala come il sole che invochi al mattino,
rispettala come un fiore che attende la luce del mattino,
sii questo per lei e, poiché questo lei deve essere per te
ringrazia Dio che ti ha concesso la grazia più luminosa della vita.
(S. Agostino)

venerdì 30 agosto 2019

Il tentativo di spiegare il male: l’esperimento Milgram.


Il male che abita dentro ognuno di noi, i meccanismi che ne gestiscono la quiescenza, i problemi etici e filosofici che interrogano da sempre l’uomo: oggi, molte domande vivono e si ripropongono con una urgente attualità. Qualcuno in tempi non lontanissimi, tentò anche di dare qualche  risposta.








Negli anni ’60 l’Europa era ancora sotto l’effetto dello shock di cosa il regime nazista era stato capace di fare. La condanna per i campi di sterminio e i genocidi razziali era stata unanime da tutto il mondo, ma dietro a quella c’era una domanda che ci si poneva sempre più spesso, soprattutto alla luce dei processi che stavano avendo luogo contro le gerarchie dell’esercito tedesco: com’è possibile che un’intera organizzazione militare, rappresentante per esteso di un intero popolo, era stata capace di atti di tale disumanità? È possibile che tutti fossero complici nel più grave episodio di annullamento dei diritti umani della storia dell’uomo? Domande che necessitavano una spiegazione.
Lo psicologo Stanley Milgram dell’Università di Yale ebbe un’idea molto pratica, che poteva dare la risposta alle domande che tutto il mondo, in quegli anni, si stava ponendo. Dal momento che la difesa più comune delle gerarchie naziste nei processi a loro carico risiedeva nel fatto che stessero solo “eseguendo degli ordini”, la domanda alla fine si traduceva in un’altra, strettamente collegata: è sufficiente che un’autorità esterna ci ordini di fare qualcosa, per renderci capaci di atti disumani? È sufficiente il senso di deresponsabilizzazione dovuto alla presenza di un’altra persona al comando a trasformarci in dei mostri? Era su questo che il celebre esperimento di Milgram voleva far luce...


Dal sito www.auralcrave.com di Carlo Affatigato

lunedì 8 luglio 2019

HATERS


“Odiatori, nella vita come nella Rete. L’ondata di cattivismo che sta infestando il dibattito pubblico rischia di sovvertire millenni di etica, con i samaritani del 2000 disprezzati, accusati di salvare vite e occuparsi dei fragili, come fosse una colpa anziché ciò che ci fa uomini. Rigurgiti odierni di “aporofobia” (disgusto verso i poveri), fenomeno mai visto prima…
Ho finito le guance. Ho già porto anche l’altra, non ne ho più; ormai è uno stato di isteria, una malattia effettiva e affettiva. Rabbia e paura ci hanno drogato, ci hanno alterato quasi chimicamente, fino alla patologia. L’odio nasce da un cortocircuito, avvenuto per poter scaricare una rabbia che è stata preparata accuratamente.
Credevamo di avere gli anticorpi contro tutto questo, che gli errori del passato ci avessero resi irrimediabilmente migliori. Invece assistiamo al trionfo della ci/viltà, l’anonimato è la forza con cui si esprime oggi chi odia: ti insulto tanto io non so chi sei e tu non sai chi sono io. È la ci/viltà dei social, dei media, la viltà da dietro un vetro. Come ha scritto Zamagni su Avvenire, il potere ha paura dei solidali, colpevoli di trovare soluzioni che toglierebbero il dominio alla nuova economia. Allora avalla questo delirio di impotenza, questa fame di diffamare… Mi dai l’inimicizia su Facebook?
Così ci si assuefà a tutto e può anche accadere, a Manduria per esempio, che un anziano debole sia seviziato per mesi da baby bulli, fino alla morte, nel silenzio osceno di tutti. L’anonimo è vile perché è forte della debolezza altrui, macchia la tela bianca e sa che la tela non potrà rispondere. La povertà è invisibilità, se la si vede la nascondiamo, inchiodiamo i ferri sulle panchine per non far sedere i mendicanti, per non farli ri/posare. I Comuni dicono ci pensi lo Stato, ma lo Stato è confusionale e allora chi ci pensa è il terzo settore, il volontariato, quello odiato, che però è all’elemosina, perché il potere non si può permettere un’economia sociale… E allora tocca per esempio all’Elemosiniere ridare non solo quella luce (una vera Illuminazione) che non nasconde più nel buio il bisogno, il disagio e la vita, ridando altra energia a quelli a cui l’abbiamo tolta da troppo tempo e che dobbiamo difendere con ogni costo a tutti i costi per non continuare a vergognarci.
Chi esprime tenerezza diventa quasi un nemico, mai nel passato la Croce Rossa o Medici senza Frontiere o la Caritas erano stati insultati in quanto umanitari… Ci vuole un cambio di frequenza che muova da dentro, da dove parte la tua idea di vergogna: quando parlo di diritti non regge più la sola Costituzione, manca una sana costituzione interiore. I partiti hanno creato questo momento storico, hanno acceso il fuoco perché potesse bruciare, perché si calpestasse il pane purché non andasse ai rom: quando arrivi a questo è già tardi, bisogna agire nelle scuole, raccontare lì il tema della paura che nasce da una mancanza d’amore, e raccontare il mistero degli Interni, il mistero della Giustizia, il mistero della Salute, il mistero dell’Istruzione. La libertà di parola quali condizionamenti può avere? Davvero ognuno può scrivere tutto? Ognuno può offendere? C’è una sproporzione umana che chiede una condizione di sovrumanità, altro che sovranismo! E poi perché vogliono depotenziare la storia a scuola? Questo è lavorare sull’annientamento della memoria, renderci poveri, sì, ma di idee, il potere è malato, teme gli spiriti liberi della solidarietà, perché dimostrano che la povertà può diventare ricchezza. In questo momento c’è un Dna del buio.
Cosa possiamo fare, allora? Cambiare il linguaggio, gridare la tenerezza e la compassione, urlare nei teatri, sui libri, ovunque, contro questa cultura in vitro – il vetro della tivù e dei computer – che non la tocchi e non la annusi, che non ha sensi. Ma c’è una nuda verità che viene prima: essere o essere? Questo mi interessa. Attenzione, il volontariato verso i bisognosi esiste, anche a Bologna ne vedo tanto, ma oggi occorre indossare questa povertà, abitarla, sentirla con un settimo senso, ecco il cambio di frequenza che tocca a noi, non ci sta più solo la denuncia e la manifestazione. C’è un fare l’impossibile e un fare l’impassibile, io devo fare il mio volontariato quotidiano che è lo sguardo, il non avere paura d’avvicinarmi. Il mercato ci ha detto cosa dobbiamo avere per mantenere il nostro benessere e il suo benestare, senza cadere mai sotto la famosa soglia della povertà… Invece no, dobbiamo attraversarla avanti e indietro questa soglia, ognuno come può, lavorare sulla nostra santità, altra parola che fa tanta paura. Invertiamo la rotta, mettiamocela addosso questa santità, per combattere il morbo dell’aporofobia c’è bisogno di uno scatto, un moto a luogo, altrimenti poveri… noi.
Di che cosa si accusa il povero? Mai visto nella storia un accanimento come oggi. Il povero… non ti ha fatto assolutamente nulla. Semplicemente ti accanisci contro questa condizione inerme e sai che non reagirà. E siamo pure arrabbiati perché stiamo male, a differenza di chi sta male: quello che vive sotto i ponti dà fastidio a noi. Penso ai cartoni animati , quelli dei clochard, con dentro degli uomini… Bisognerebbe aprire l’era del risarcimento per togliere l’in/fame nel mondo e restituire il maltolto, invece su questa gente si consuma la fame di fama che ci vede potenti sui social, dove li disprezziamo e così siamo forti. Pensare che social con una “e” in più diventa sociale, cioè terzo settore, pietà, condivisione. Invece il social è vedo e colpisco. I nativi digitali moriranno tra atroci divertimenti, dipendenti dalla Rete non conoscono la concezione tattile, olfattiva, umana dell’altro, è questo il sacrilegio che vedo. Io auspico il cambio di frequenza dal basso all’altro, e non lo lascio solo alle religioni, tutti noi abbiamo una parte divina che non ci è permesso esercitare: siamo stati lavorati sulla stanchezza, sottomessi a spauracchi con mezzi di distrazione di massa. Liberiamo i nostri figli dalla paura! Diciamogli che la persona disagiata è chi guarda, non chi è nel disagio. Che il cibo è spazzatura, ma per molti la spazzatura è il cibo. Liberiamoci dal conflitto di disinteresse. Il cambio dev’essere esistenziale, non di partito: portiamolo nelle scuole, è lì il vero Parlamento.”

Alessandro Bergonzoni (da L'Avvenire del 19-3-2019)

mercoledì 26 giugno 2019

Piccolo Schermo d'antan: A come Andromeda.






L'esordio della fantascienza nella serialità televisiva degli anni 70:

-A come Andromeda- un'aliena in tv.


Nella televisione degli anni 70 che seguì quella più didattica dei grandi classici letterari trasmessi negli anni 60 adattati in forma di “sceneggiato”,si aprirono nuovi spazi ed opportunità nella programmazione. Queste produzioni seppero cogliere i mutamenti culturali della società determinando nuovi orientamenti nei gusti del pubblico televisivo,e creando nel contempo nuove aspettative. Il momento sembrò propizio a poter sperimentare. E così si fece, nelle forme e nei contenuti, producendo adattamenti di generi ben lontani da quelli fino ad allora proposti. Dopo il primo grande successo, conseguito da il Segno del Comando che inaspettatamente, aveva sdoganato il soprannaturale presso il grande pubblico, il momento sembrò favorevole ad un ulteriore azzardo per i palinsesti dell'epoca. La fantascienza sbarcò sul piccolo schermo con lo sceneggiato A come Andromeda. In realtà, lo sceneggiato fu il remake di un telefilm della BBC inglese interpretato qualche anno prima da una sconosciuta Julie Christie. In Italia si affidò la realizzazione dell'adattamento televisivo alla solida competenza di traduttore e scrittore sci-fi di Inisero Cremaschi. La regia fu di Vittorio Cottafavi, la cui figura di autore cinematografico era stata assai apprezzata e valorizzata in Francia, dai Cahiers du Cinema.
Cottafavi per sensibilità ai temi e alle implicazioni etico filosofiche, sollecitate dalla storia, che appartenevano alla sua formazione letterario-filosofica, fu l’uomo giusto al momento giusto. La vicenda prende le mosse dalla decrittazione del segnale captato da un potente telescopio da poco inaugurato in Inghilterra, e proveniente dalla lontana galassia M31. Il segnale si rivelerà essere un messaggio,che il brillante fisico J.Fleming riuscirà a tradurre dall'originale forma binario-matematica. Questo darà modo al suo team di scienziati di costruire un sofisticato (per i tempi) calcolatore elettronico, che eseguirà le indicazioni dettate della misteriosa entità aliena. La costruzione del calcolatore elettronico smuoverà gli interessi della fantomatica INTEL organizzazione spionistica che intreccerà i suoi interessi con quelli delle organizzazioni militari e governative angloamericane. “La macchina” dopo aver ucciso la dott. Christine Flemstd nell' incauto tentativo di procurarsi tutti i dati possibili sulla razza umana; riesce con l'appoggio della biologa Madaleine Danway a replicare una creatura vivente, Andromeda, che ha le fattezze della defunta Christine. Ma quali sono i fini dell'entità aliena ora che si è dotata di un “tramite” in carne e ossa? Attorno alla glaciale e diafana Andromeda(in origine interpretata dall'icona pop Patty Pravo,poi sostituita dalla brava Nicoletta Rizzi) si muovono sempre più, pressanti, gli interessi militari ed economici di governi ed organizzazioni come la INTEL. Intanto la giovane spia governativa Judy Adamson, ha il compito di monitorare il progetto di un farmaco realizzato dal calcolatore con il supporto di Andromeda e proteggere J.Fleming dalle insidie della INTEL. Quest'ultimo però è combattuto dalla crescente volontà di abbandonare il progetto verso il quale nutre sempre più dubbi. Judy cedendo ai sentimenti, finirà per innamorarsene. Andromeda inizialmente dominata dalla parte razionale legata alla natura del rapporto simbiotico con il calcolatore, contaminerà la sua natura originaria di fredda esecutrice, stando a contatto con i sentimenti e l'imperfezione della natura umana. Anch'essa si lascerà coinvolgere da Fleming, che in realtà è interessato a lei principalmente per scoprire gli scopi del calcolatore e ostacolarne i subdoli intendimenti. I mille dubbi che finalmente avevano creato una breccia nell'iniziale entusiasmo della biologa Danway, trovano una prima risposta proprio nell'avvelenamento di quest'ultima da parte del calcolatore, che ha elaborato un virus spacciato per antidoto capace di curarla dopo una malattia che lui stesso le aveva procurato. Fleming non ha più dubbi: dopo un drammatico e tenero colloquio con Andromeda con l'aiuto di Judy, di un membro compiacente del governo, e sopratutto della stessa Andromeda; fa a quest'ultima un ultima e definitiva richiesta: dovrà introdursi nella stanza del calcolatore e distruggerlo insieme alla copia dei dati che sono serviti per costruirlo. La ragazza eseguirà quanto chiesto da Fleming e pagherà sacrificando con il suicidio la sua vita, quella che sente ormai come inutile. Le ultime parole che Fleming rivolge al suo cadavere, sembrano essere un monito a noi umani:” Abbiamo creato la vita ma non abbiamo saputo dargli la volontà di vivere”.


Lo sceneggiato conserva ancora oggi un indubbio fascino che gli deriva dall'accattivante messa in scena e dalla fotografia in bianco e nero che ha saputo ben rendere le atmosfere brumose misteriose e ambigue della Scozia, ricreate nella Sardegna tra capo Caccia e la Gallura. Lo sceneggiato fu tra i primi a servirsi delle riprese in esterni. Il lavoro egregio di Cremaschi e Cottafavi fu supportato da un cast in stato di grazia a cominciare da Luigi Vannucchi , Nicoletta Rizzi, Paola Pitagora,Tino Carraro, Gabriella Giacobbe, Franco Volpi. Soprattutto per quel che riguarda i personaggi femminili si nota un bel lavoro di scrittura ed approfondimento psicologico che sembra riscattare un po' tutti gli stereotipi di genere che ne limitavano le possibili declinazioni espressive e narrative. Giovandosi in questo, del clima culturale degli anni 70 che consentiva sicuramente una maggiore libertà espressiva alla scrittura dei personaggi. Percorso da interrogativi etico -filosofici ancora attualissimi, che ancorché propri del genere sono anche quelli insiti da sempre nella natura umana. Il lavoro mette in scena e misura la distanza ottusa tra scienza e militari, ci parla del prezzo da pagare per il progresso della conoscenza, di bioetica, come nella tormentata e ribelle figura di Fleming e della biologa Danway. Mostra la struggente parabola di Andromeda creatura con forma umana e natura aliena che si sacrificherà per l'impossibilità di una scelta identitaria. Cottafavi orchestra con autenticità dosando sapientemente gli spunti di una riflessione profonda sull'avventura umana, confezionata in maniera non paludata e che sa parlare al pubblico popolare,nell'accezione più nobile del termine. Il finale mostra ancora una volta il genere umano che rimane solo nell'universo con le sue paure e il suo egoismo. Grande successo all'epoca e grande nostalgia oggi, per un prodotto così intelligentemente curato, da resistere al tempo, intatto nel suo appeal.