“Odiatori, nella vita come nella Rete. L’ondata di cattivismo
che sta infestando il dibattito pubblico rischia di sovvertire
millenni di etica, con i samaritani del 2000 disprezzati, accusati di
salvare vite e occuparsi dei fragili, come fosse una colpa anziché
ciò che ci fa uomini. Rigurgiti odierni di “aporofobia”
(disgusto verso i poveri), fenomeno mai visto prima…
Ho
finito le guance. Ho già porto anche l’altra, non ne ho più;
ormai è uno stato di isteria, una malattia effettiva e affettiva.
Rabbia e paura ci hanno drogato, ci hanno alterato quasi
chimicamente, fino alla patologia. L’odio nasce da un
cortocircuito, avvenuto per poter scaricare una rabbia che è stata
preparata accuratamente.
Credevamo di avere gli anticorpi contro
tutto questo, che gli errori del passato ci avessero resi
irrimediabilmente migliori. Invece assistiamo al trionfo della
ci/viltà, l’anonimato è la forza con cui si esprime oggi chi
odia: ti insulto tanto io non so chi sei e tu non sai chi sono io. È
la ci/viltà dei social, dei media, la viltà da dietro un vetro.
Come ha scritto Zamagni su Avvenire, il potere ha paura dei solidali,
colpevoli di trovare soluzioni che toglierebbero il dominio alla
nuova economia. Allora avalla questo delirio di impotenza, questa
fame di diffamare… Mi dai l’inimicizia su Facebook?
Così ci si assuefà a tutto e può anche accadere, a Manduria per
esempio, che un anziano debole sia seviziato per mesi da baby bulli,
fino alla morte, nel silenzio osceno di tutti. L’anonimo è vile
perché è forte della debolezza altrui, macchia la tela bianca e sa
che la tela non potrà rispondere. La povertà è invisibilità, se
la si vede la nascondiamo, inchiodiamo i ferri sulle panchine per non
far sedere i mendicanti, per non farli ri/posare. I Comuni dicono ci
pensi lo Stato, ma lo Stato è confusionale e allora chi ci pensa è
il terzo settore, il volontariato, quello odiato, che però è
all’elemosina, perché il potere non si può permettere un’economia
sociale… E allora tocca per esempio all’Elemosiniere ridare non
solo quella luce (una vera Illuminazione) che non nasconde più nel
buio il bisogno, il disagio e la vita, ridando altra energia a quelli
a cui l’abbiamo tolta da troppo tempo e che dobbiamo difendere con
ogni costo a tutti i costi per non continuare a vergognarci.
Chi esprime tenerezza diventa quasi un nemico, mai nel passato la
Croce Rossa o Medici senza Frontiere o la Caritas erano stati
insultati in quanto umanitari… Ci vuole un cambio di frequenza che
muova da dentro, da dove parte la tua idea di vergogna: quando parlo
di diritti non regge più la sola Costituzione, manca una sana
costituzione interiore. I partiti hanno creato questo momento
storico, hanno acceso il fuoco perché potesse bruciare, perché si
calpestasse il pane purché non andasse ai rom: quando arrivi a
questo è già tardi, bisogna agire nelle scuole, raccontare lì il
tema della paura che nasce da una mancanza d’amore, e raccontare il
mistero degli Interni, il mistero della Giustizia, il mistero della
Salute, il mistero dell’Istruzione. La libertà di parola quali
condizionamenti può avere? Davvero ognuno può scrivere tutto?
Ognuno può offendere? C’è una sproporzione umana che chiede una
condizione di sovrumanità, altro che sovranismo! E poi perché
vogliono depotenziare la storia a scuola? Questo è lavorare
sull’annientamento della memoria, renderci poveri, sì, ma di idee,
il potere è malato, teme gli spiriti liberi della solidarietà,
perché dimostrano che la povertà può diventare ricchezza. In
questo momento c’è un Dna del buio.
Cosa possiamo fare, allora? Cambiare il linguaggio, gridare la
tenerezza e la compassione, urlare nei teatri, sui libri, ovunque,
contro questa cultura in vitro – il vetro della tivù e dei
computer – che non la tocchi e non la annusi, che non ha sensi. Ma
c’è una nuda verità che viene prima: essere o essere? Questo mi
interessa. Attenzione, il volontariato verso i bisognosi esiste,
anche a Bologna ne vedo tanto, ma oggi occorre indossare questa
povertà, abitarla, sentirla con un settimo senso, ecco il cambio di
frequenza che tocca a noi, non ci sta più solo la denuncia e la
manifestazione. C’è un fare l’impossibile e un fare
l’impassibile, io devo fare il mio volontariato quotidiano che è
lo sguardo, il non avere paura d’avvicinarmi. Il mercato ci ha
detto cosa dobbiamo avere per mantenere il nostro benessere e il suo
benestare, senza cadere mai sotto la famosa soglia della povertà…
Invece no, dobbiamo attraversarla avanti e indietro questa soglia,
ognuno come può, lavorare sulla nostra santità, altra parola che fa
tanta paura. Invertiamo la rotta, mettiamocela addosso questa
santità, per combattere il morbo dell’aporofobia c’è bisogno di
uno scatto, un moto a luogo, altrimenti poveri… noi.
Di che cosa si accusa il povero? Mai visto nella storia un
accanimento come oggi. Il povero… non ti ha fatto assolutamente
nulla. Semplicemente ti accanisci contro questa condizione inerme e
sai che non reagirà. E siamo pure arrabbiati perché stiamo male, a
differenza di chi sta male: quello che vive sotto i ponti dà
fastidio a noi. Penso ai cartoni animati , quelli dei clochard, con
dentro degli uomini… Bisognerebbe aprire l’era del risarcimento
per togliere l’in/fame nel mondo e restituire il maltolto, invece
su questa gente si consuma la fame di fama che ci vede potenti sui
social, dove li disprezziamo e così siamo forti. Pensare che social
con una “e” in più diventa sociale, cioè terzo settore, pietà,
condivisione. Invece il social è vedo e colpisco. I nativi digitali
moriranno tra atroci divertimenti, dipendenti dalla Rete non
conoscono la concezione tattile, olfattiva, umana dell’altro, è
questo il sacrilegio che vedo. Io auspico il cambio di frequenza dal
basso all’altro, e non lo lascio solo alle religioni, tutti noi
abbiamo una parte divina che non ci è permesso esercitare: siamo
stati lavorati sulla stanchezza, sottomessi a spauracchi con mezzi di
distrazione di massa. Liberiamo i nostri figli dalla paura!
Diciamogli che la persona disagiata è chi guarda, non chi è nel
disagio. Che il cibo è spazzatura, ma per molti la spazzatura è il
cibo. Liberiamoci dal conflitto di disinteresse. Il cambio dev’essere
esistenziale, non di partito: portiamolo nelle scuole, è lì il vero
Parlamento.”
Alessandro Bergonzoni (da L'Avvenire del 19-3-2019)