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sabato 17 agosto 2024

La Sosta


Devo bere qualcosa di forte, ne ho bisogno stasera.
Quelli della comunità non si sono visti, troppo freddo oggi; in stazione tutti i posti sono occupati. Il mio sguardo si aggira ovunque ci sia un fagotto, un pezzo di coperta, un improbabile castello formato da pezzi di cartone di ogni provenienza. 
Alle facce di sempre si aggiungono le nuove, spaesate, alimentate nel loro smarrimento da questa sera di freddo glaciale. Qualcuno è terrorizzato che gli portino via l'unico pezzo di coperta che può garantire la sopravvivenza. Il freddo fa anche questo: annullare ogni residuo di solidarietà, tra quelli ancora possibili. Devo farmi coraggio, e il gelo non mi aiuta. 
-Di nuovo qui stasera? Mi dice uno dei nuovi.
-Quelli al dormitorio erano al collasso, ed eccomi qui.
-Vuoi un po' di cognac? E' il fondo per le emergenze…dai dividiamo.
-Grazie, è quello che ci vuole stasera. 
Un frasario scarno, essenziale, che conosco bene: ma stasera rimbomba nella testa. E le parole si conficcano come punte di ghiaccio acuminate.
Mi alzo, è ora: non posso più rimandare. 
A testa bassa mi incammino calando il berretto di lana fin quasi sugli occhi, rispondo così, controvoglia, agli sguardi che mi interrogano cercando di carpire nei miei occhi un lampo di pietà. 
Li sfuggo mentre intravedo la mia meta. 
Il camioncino è parcheggiato dietro la curva, fatica a mettersi in moto. 
Doveva andare a riposo da tempo.  Provo ad accenderlo una prima, una seconda volta, una terza…con rabbia. 
Si accende. Maledetto. 
Dietro di me c’è silenzio. Sa di rassegnazione, quella che mi gela il sangue. 
Sono arrivato, scendo. 
Per stasera è l'ultimo carico. Vorrei fosse l'ultimo, Dio sa quanto lo vorrei!
Me lo dico da tre anni. 
Il motore li risveglia, ora guaiscono; anche Mustafà che mi ha lasciato Said con le lacrime agli occhi: 
-Ormai non posso garantirgli più nulla. 
-Me l'avrebbero portato via prima o poi quelli del canile, e gira lo sguardo. 
La porta di ferro della gabbia si chiude. 
Stasera il gelo mi annienta. 
E io non sono più salvo. 

©2017          Franca Maenza

giovedì 8 agosto 2024

La neve d'agosto


Riccardo il capofamiglia, rappresentava per don Gino una presenza imprescindibile.

La stessa devozione coinvolgeva in tono minore, anche la moglie Luisa e i figli Anna e Armando. Quest'ultimo aveva già un trascorso da chierichetto, fino a quando una timida peluria sul viso lo aveva spinto ad abbandonare, per dedicarsi anima e corpo allo studio della chitarra.

Solo Riccardo aveva assecondato la sua nuova passione, sacrificandosi nella gestione della rinomata pasticceria – gelateria di famiglia.

Per questo motivo, da allora Luisa ripeteva quotidianamente ai due il suo mantra:

«Perché non ti fai aiutare da Armando dopo la scuola? Non puoi fare tutto da solo, un impegno serio sarebbe meglio dello studio della chitarra. Per farne che, poi? Suonarla in chiesa?».

Riccardo nicchiava oppure rispondeva che se lo faceva felice, a lui andava bene così.

Quella mattina particolarmente assolata, aveva suggerito ad Anna che viveva come una iattura la giornata del 5 agosto, di defilarsi, incamminandosi con calma verso la basilica accompagnata dal fidanzato. Restava Riccardo, intento a curare gli ultimi dettagli dell'abito da portatore e Luisa, che continuava a distribuire rimproveri e consigli ad entrambi, in maniera alternata.

«Se non riesci a mantenere questo impegno, è meglio dirlo chiaro a don Gino. Non puoi continuare a dividerti tra lavoro in pasticceria, impegno in comune e sostenere anche l'associazione in parrocchia! A te poi, che non pensi ad altro che a suonare; se non te lo avessi ricordato, domenica scorsa neanche ci saresti andato in chiesa. Si può sapere cos'hai da un po' di tempo? Aiuta tuo padre a questo punto. La pasticceria è destinata a te, e sarà meglio se ti abitui alle responsabilità, fin da ora».

Armando proruppe con un: tanto non ci vado più da quello. Ho deciso.

La piazza antistante la basilica era quasi completamente gremita. I 200 portatori preposti a sostenere il trono con la statua della Madonna, si asciugavano il sudore, pensando al compito che si prefigurava assai più gravoso del previsto, per quella canicola inaspettata. Don Gino fece capolino da una delle porte laterali della basilica, osservando che tutto fosse sotto controllo.

Non si accorse subito della presenza dei volti scuri di Riccardo Luisa e Armando, che si facevano largo tra la folla.

Il sacrestano scorse il furgoncino della pasticceria gelateria la “Napoletana”, puntuale nel consegnare il consueto catering; omaggio riservato al parroco e ai portatori dell'associazione. Riccardo era sempre stato generoso ma in questa speciale ricorrenza si era superato per quantità e qualità. Su suggerimento di Luisa, aveva aggiunto con una provvidenziale ispirazione, anche la frutta ripiena di gelato. Tutto fu riposto nella cella frigorifero, in attesa dei festeggiamenti che avrebbero chiuso la giornata di celebrazione.

Eppure quella mattina Riccardo non riusciva a liberarsi dell'amarezza che gli stagnava sul viso, non si toglieva dalla mente la violenza con la quale Luisa si era rivolta poco prima al figlio. Pativa quell'atteggiamento di sufficienza e insofferenza che lei sembrava avere nei confronti di don Gino, da qualche tempo.

Avvertiva una sorta di rifiuto nei confronti del parroco, e di questo non si dava ragione.

Eppure, lei più di chiunque altro, sapeva quanto gli era legato fin da ragazzino.

Sapeva, quanto era stato importante per lui avergli affidato spiritualmente Armando, il figlio nel quale tanto si riconosceva.

Proprio lui, che ancora quella mattina, lo aveva sorpreso colpendolo con una frase inaspettata; aveva definito don Gino: “quello”.

Anna parlava a bassa voce ma animatamente col fidanzato; con il temperamento deciso che sapeva tirar fuori alla bisogna. Dandogli uno spintone gli aveva urlato di tacere: come si permetteva solo di pensarle, quelle cose! Che razza di uomo era, uno che dava credito alle malelingue invidiose, ai pettegolezzi di quattro ignoranti.

Armando in preda a sentimenti contrastanti, si apprestava a prendere posto dietro il cannone sparaneve che dopo 28 anni dall'ultima volta, avrebbe riprodotto il miracolo bianco.

Quello che la Madonna aveva compiuto nel 352, dopo essere apparsa in sogno a Papa Liberio.

Era arrabbiato, frustrato perché si era reso conto di aver esagerato con la frase rivolta a don Gino. Tutti si aspettavano tutto da lui, e tutto in quel momento, era proprio ciò che lui sentiva di non poter dare.

Don Gino lo asfissiava con i sermoni sul fare felice papà, mamma, e qualunque cosa facesse, poteva sempre farla meglio.

E poi l'ultima: non doveva perdere tempo a suonare la chitarra in chiesa, ma aiutare papà. Ecco, ora siete tutti accontentati! Poi riprendendo il controllo, pensò di avere esagerato: avrei potuto con altre parole; accidenti al 5 agosto! Tutti ce l'avranno con me, adesso!

Luisa accanto a Riccardo, cercò di recuperare il sangue freddo; non voleva contribuire al dolore che avvertiva in lui.

Era troppo sensibile e fragile, Riccardo. Troppo buono, al punto da non capire più la vita, da non saper più distinguere il bene dal male, da non capire chi gli voleva bene davvero.

Aveva avuto un'adolescenza dolorosa, traumatica; chiunque lo aveva conosciuto lo intuiva.

Con enormi difficoltà, aveva provato ad aprirsi con lei, e ancora adesso non era facile toccare certi argomenti.

Poi era arrivato don Gino, e lei si era sentita messa da parte, mentre nasceva tra loro un rapporto speciale che lo aveva aiutato a superare i problemi, sostenendolo con la sua presenza costante, senza lasciarlo più.

E la sua riconoscenza non era mai venuta meno, anzi sembrava aumentare di giorno in giorno.

Così grande, da insinuarle un piccolo tarlo, che subdolamente dapprima, si era via via fatto strada, ingrandendosi sempre più, lavorando incessantemente notte e giorno. E poi gli aveva affidato Armando.

Il suo, Armando.

Anche lei c'era stata e c'era per Riccardo, senza bisogno di chiedergli altro, se non quello che aveva capito in vent'anni di matrimonio da ogni gesto, ogni scelta, ogni espressione palesata nella gioia come nelle difficoltà.

Ora tutto finirà, tutto. Si disse. Nessuna ombra.

Il sole tornerà per te e per la nostra famiglia.

Lo aveva giurato a Lei, nella penombra della chiesa il mese prima.

Anna guardava la madre che sembra insensibile al frastuono assordante della piazza:

«Mamma! Stai bene? È cinque minuti che ti chiamo, com'è possibile che non mi hai sentita»? Luisa sembrò scuotersi, e notò che Anna era sola: «Come mai sei sola?».

Anna rispose che avevano discusso perché lui era un cretino, a riportare certi pettegolezzi su don Gino, proprio a lei. E così se n'era andato, offeso.

«Dopo la neve verrà il sole» ripeté in cuor suo.

Armando fermo dietro la sua postazione, aspettava, rimuginando gli eventi della giornata.

Come tutti attendeva il momento clou, quando i cannoni avrebbero sparato nel cielo la neve del miracolo, 'a neve d' a Madonna.

Era quasi il tramonto, e il caldo per l'umidità era diventato insopportabile.

Armando contava i minuti che lo separavano dalla fine di quella lunghissima giornata.

Fortuna che dopo c'è il rinfresco, pensò passandosi il dorso della mano sulla fronte imperlata di sudore.

Riccardo si staccò dal gruppo dei portatori, andando incontro a Gino che gli aveva fatto cenno d'entrare in chiesa. Lo aveva seguito in sacrestia e lì, tra le sue braccia, si era sciolto in un pianto liberatorio.

Armando lo seguì poco dopo, calcolando che mancava ancora mezz'ora al gran finale.

Si erano ritrovati tutti e tre insieme, uniti. Ed era venuto naturale parlarsi, naturale piangere, naturale abbracciarsi e sorridere ancora.

«Mancano dieci minuti alla neve, che ne dite di fare un piccolo anticipo sui festeggiamenti? C'è un gelato speciale per me, da parte di Luisa» disse don Gino rivolgendosi ai due, che si guardavano, col sole negli occhi.

Armando fece esplodere la prima carica di neve, in perfetto orario sulla tabella di marcia.

Gli occhi di tutti puntarono in aria, per vedere il miracolo rinnovato.

Nessuno si accorse, mentre la neve ricopriva la piazza e le persone in un’atmosfera irreale, di un ragazzo che si accasciava a terra.

Nei giorni che seguirono, sui giornali si moltiplicarono le interpretazioni sul giallo di Ponticelli:

dai pettegolezzi che circondavano il parroco, al passato di violenze di Riccardo. Nessuno trovò strano che Luisa avesse dato segni di squilibrio, annientata dal dolore per la morte del figlio, né alcuno fece caso per questo motivo, alle ultime parole che lei aveva bisbigliato, dopo la sua morte. Ero certa che non ti piaceva il gelato di fragole, come tuo padre.

Mai nessuno si era insospettito, mesi addietro, quando aveva manifestato un improvviso interesse per internet; facendosi spiegare come si navigava e come si facevano acquisti in rete.

Nessuno pensò che fosse stata proprio lei ad acquistare, in rete, l'acido cianidrico da usare per la disinfestazione del giardino.

Proprio quello che giaceva ancora lì, quasi intatto, accanto al vaporizzatore.

©2017          Franca Maenza

lunedì 26 aprile 2021

Nomadland


 

L'innarestabile ascesa di Nomadland, con tutta probabilità, porterà la regista cinese C.Zhao a conquistare l'ambitissimo riconoscimento nella prossima cerimonia degli Oscar 2021; coronando una carriera che a soli 39 anni e tre lungometraggi, l'ha imposta all'attenzione mondiale. Dopo il fortunato esordio di Songs My Brothers Taught Me (2015)presentato al Sundance festival e a Cannes; ottiene con il successivo The Rider (2017) di cui è sceneggiatrice, regista, coproduttrice e montatrice; i significativi riconoscimenti ISA, nell'ambito del cinema indipendente. Nel 2020 scrive, gira, coproduce e monta Nomadland che gli vale il pieno riconoscimento internazionale vincendo il Leone d'oro a Venezia, i recenti Golden Globe per miglior regia, miglior film drama, e una sfilza di altri prestigiosi riconoscimenti. Ispirato dal libro inchiesta omonimo di Jessica Brudel, il film  esplora il fenomeno di una parte crescente di americani, che per la crisi economica culminata nella grande recessione del primo decennio del 2000, e in una situazione crescente di disoccupazione in nulla tutelata dall'assenza di welfare e assistenza sanitaria; non riesce ad accedere alle condizioni minime, necessarie per una sopravvivenza decorosa. Una umanità trasversale per età, provenienza sociale e culturale, che si trova ad accettare-prevalentemente per necessità- (anche se il film via via, sembra sposare la tesi di una scelta alternativa e libertaria utile a  reinventare i valori fondanti del vivere )lavori stagionali che implicano un'esistenza nomade. Stazionando in parcheggi- comunità per camperisti, che si susseguono a partire dalle spettrali lande del Nevada fino al caldo desertico degli stati del sud. Questo lo sfondo in cui si muove Fern, la protagonista: interpretata da Frances Mc Dormand. Sola, dopo la morte del marito e l’abbandono del villaggio aziendale dove abitava, dovuto alla  chiusura della fabbrica di Empire nel Nevada: la vediamo raccogliere i pochi oggetti, che hanno il valore di racchiudere la sua vita vissuta fino a quel momento, e trasformare un piccolo van adibendolo  a nuova casa su ruote, che ribattezza “Avanguardia”. Inizia così il suo percorso on the road, in cerca di qualunque lavoro possa garantirle la sopravvivenza. Nella prima esperienza presso un camperForce allestito da Amazon in periodo natalizio; scopriamo tanti, che similmente a lei hanno perso il lavoro e si sono ritrovati con una pensione tale da non poter sostenere il fitto di una casa stabile o pagare le spese dell'assistenza sanitaria. Attraverso gli incontri con Linda May, Swankie, e Dave (David Strathairn), veri lavoratori nomadi (ad eccezione di Strathairn )con  i quali condivide la  perdita di uno status di precedente certezza economica e sociale; Fern stringe rapporti di solidarietà e sostegno reciproco. Nell'approccio in parte documentaristico con i reali protagonisti, la regista filma la realtà mutuata dal saggio della Bruder, innestandovi la finzione del personaggio di Fern con il suo percorso emotivo ed esistenziale. I due aspetti: realtà e finzione, se si avvalgono e sostanziano della ottima performance della McD. mostrano dall'altro, i limiti imposti da una convivenza che non è del tutto riuscita. La regia della Zhao viene edulcorata e piegata artificiosamente alla sceneggiatura, dalle esigenze di una messinscena dallo stile rarefatto e forse per questo, un po' artificioso oltre che spesso, inutilmente sottolineato dalle musiche di L.Einaudi. Esibisce la predilezione (ricorrente in tutta la filmografia precedente), per gli spazi aperti e naturali opportunamente fotografati, e qui utilizzati per ammantare con la filigrana della poesia, il dolore e la durezza del contesto sociale dal quale pure ha origine, quello raccontato dalle esperienze dei protagonisti. Una tale visione d'insieme, vanifica però la scrittura dei personaggi, rappresentati in modo fin troppo asciutto e frammentario, per via dei pochissimi dialoghi che ne limitano  la potenzialità drammaturgica. Spesso, questi si limitano ad un mero scambio di battute: poche informazioni utilizzate in funzione della costruzione del personaggio di Fern che resta il focus principale del film. La scelta di casting della McD, tra l'altro, offusca e schiaccia con la sua valenza di star, la credibilità delle istanze nobilmente spirituali che animano sia la scrittura del suo personaggio che del film in sé. Tutto sembra mantenere in precario equilibrio, sia una certa ambiguità d'intenti che di toni. Interessante la figura del guru Bob Wells; reale punto di riferimento della comunità dei workcampers americani ma che, purtroppo, non viene approfondita quanto avrebbe meritato. In una intervista, C.Zhao ha dichiarato che la sua intenzione non era quella di fare un film politico, ma di essere interessata solo al percorso interiore dei personaggi. Coerentemente quindi, il perché  Fern sia così riluttante all'accettazione di uno stile di vita convenzionale e stabile, sembra solo suggerirlo una battuta della sorella Dolly, che riferendosi alla sua eccentricità sin da bambina dice: “per te, quello che era fuori era sempre più bello di quello che avevi”. Ed anche durante il  pranzo di Ringraziamento con la famiglia di Dave, che gli propone una possibile solidale convivenza, Fern confermerà la sua scelta con un rifiuto. Ritornerà subito dopo ad Empire, nell'appartamento fantasma dell'inizio. Rielaborerà a suo modo il lutto, sancendo da un lato la “non appartenza” a qualunque luogo fisico possa limitarla, tracciandone i confini. E creando dall'altro, il ricordo indelebile e vitale di una casa dell'anima, quella che porterà con sé per sempre e nuovamente, sulla strada. Di certo, quanto quest’ultima sia in direzione ostinata e contraria, non è dato saperlo.



mercoledì 10 febbraio 2021

NOTIZIE DAL MONDO( News of the World 2020)


 

                                               Il western tenero e gentile di Hanks e dell'astro nascente H.Zengel.

Regia:Paul Greengrass

Attori:Tom Hanks,Helena Zengel,Elizabeth Marvel,Mare Winningham,Neil Sandilands,Chukwudi Iwuji,Thomas Francis Murphy,Fred Hechinger

Sceneggiatura: Paul Greengrass Fotografia:Dariusz Wolski Montaggio:William Goldenberg Musiche: James Newton Howard

Netflix

                                                                        

Tratto dal romanzo di Paulette Jiles del 2016, "News”; sbarca su Netflix bypassando la sala causa Covid, l'ultimo film di Greengrass, che torna a dirigere T. Hanks dopo l'adrenalinico Captain Phillips del 2013.

Nel 1870 il veterano confederato, capitano Jefferson Kyle Kidd (Hanks), gira tra le città degli stati del sud ancora segnate dalle conseguenze del conflitto: raccontando di città in città, storie selezionate dalle notizie dei quotidiani che porta con sé.

In cambio di pochi spiccioli, legge e coinvolge con storie di coraggio, progresso e violenza, calibrate sull'umore dell'umanità che muta ogni sera e in ogni città, ma regalando attraverso la sua oratoria, sempre un motivo di speranza e riconciliazione nel futuro. Nella sua peregrinazione s'imbatterà in una ragazzina di 10 anni figlia di coloni tedeschi trucidati dalla tribù Kiowa e poi da da loro cresciuta fino alla liberazione, sei anni dopo. La scorta militare che la riaccompagnava dagli unici parenti che le restano, è un uomo di colore impiccato ad un albero con una nota razzista appuntata sul corpo. La piccola “Cicada” nome Kiowa, nel quale si riconosce la piccola Johanna Lionberger, è sola. Ancora una volta privata di una famiglia, ed estranea ad un mondo di cui non comprende neanche la lingua. Dopo il rifiuto delle autorità militari locali di accompagnarla dagli zii, Kidd si assume in prima persona il compito di riportarla dai parenti. Inizia così il viaggio di due anime ferite che stentano a comprendersi con le parole più che con gli sguardi. Il capitano Kidd attraverso il racconto di notizie “altrui”, ricaccia la possibilità di confronto con i suoi demoni interiori. Facendo intuire però attraverso la forte interiorizzazione del personaggio gli orrori visti e perpetrati e le probabili motivazioni che lo tengono lontano dalla moglie. Malgrado la sceneggiatura renda prevedibile la fine del viaggio tra i due protagonisti, e pur nel solco di un genere così ricco di storia come è il western classico, la regia riesce grazie alla performance dei due personaggi a staccarsi dai limiti angusti in cui avrebbero potuto soffocare, dando al film una rilettura fresca e commovente. Essenziale la fotografia di Wolski messa a servizio della regia: che spazia dai chiaroscuri drammatici e veristi degli interni illuminati solo dalle luci di candele, agli spazi immensi e desolati delle pianure del Texas, in un crescendo di contrasti che fanno da sfondo alla crescita del rapporto tra i due protagonisti. L'azione rivendica il suo ruolo nel dispiego della vicenda quando a Dallas, Kidd dovrà affrontare il tentativo di rapimento di Johanna/Cicada da alcuni trafficanti dediti allo sfruttamento della prostituzione minorile. Durante una fuga precipitosa tra le montagne subiranno la perdita del carro e dei cavalli. E parimenti il rapporto diverrà sempre più solidale ed intenso, con il tentativo reciproco d'imparare le rispettive lingue. Johanna riesce a comunicare a Kidd, attraverso la cultura Kiowa, la necessità di affrontare il viaggio in maniera lineare, senza deroghe. Intendendo che il dolore per il proprio passato va attraversato e affrontato per poter proseguire. E sarà così per entrambi. Dopo aver incrociato a piedi,in pieno deserto, una tribù di indiani, Johanna avrà uno dei pochissimi momenti di cedimento emotivo urlando la sua disperazione e pregandoli di riprenderla con loro, mentre incombe una memorabile tempesta di sabbia che rischierà di dividerli per sempre. Dopo averla miracolosamente superata, si ritroveranno verso la tappa finale del loro percorso... Per quanto la violenza sia ovunque, come dice Kidd, in parte, a causa dei "coloni che uccidono gli indiani per la loro terra e gli indiani uccidono i coloni per averla presa: “la guerra è finita. Dobbiamo smettere di combattere prima o poi". In queste parole si condensa il dramma di una nazione e del suo protagonista; anche se il film mantiene sapientemente il focus principalmente su di loro, mettendo i temi sociali del periodo, sempre sullo sfondo. L'interpretazione di Hanks insieme alla straordinaria Helena Zengel va sottolineata, perché resa da quest'ultima, quasi esclusivamente in assenza di dialogo. Le performances di entrambi costituiscono determinandolo, il valore aggiunto del film. Un western che racconta i giorni di una nazione che cerca di rimettere insieme i pezzi, dopo una frattura devastante con le difficoltà per la pace che derivano dal rifiuto di chi combatte ancora contro sé stessa e non trovando facilmente una via per la guarigione per le continue sollecitazioni imposte a cicatrici difficili da rimarginare. Tutto ciò non può eludere richiami ad un commento sulla situazione odierna dell'America. In questo senso speriamo che messaggio di riconciliazione che permea i due protagonisti, arrivi con opportuno tempismo, a chi avrà voglia di raccoglierlo con la visione.

Da Vedere



lunedì 20 gennaio 2020

L'Amore




Giovane amico se ami per la prima volta,
questo è miracolo della vita.
Entra nel sogno con gli occhi aperti e vivilo con amore fermo.
Il sogno non vissuto è una stella da lasciare in cielo.
Ama la tua donna senza chiedere altro all'infuori
dell'eterna domanda che fa tremare di nostalgia i vecchi cuori.
Ma ricordati che più ti amerà e meno te lo saprà dire.
Guardala negli occhi affinché l'anima tremi
e le veli di una lacrima la pupilla chiara.
Stringile la mano affinché le dita si svincolino
con il disperato desiderio di riunirsi ancora,
e le mani e gli occhi dicano sicure promesse del vostro domani.
Ma ricorda ancora che se i corpi si riflettono negli occhi,
le anime si vedono nelle sventure:
Non sentirti umiliato nel riconoscere una sua qualità che non possiede.
Non crederti superiore, poiché solo la vita
dirà la vostra diversa ventura.
Non imporre la tua volontà a parole ma soltanto con l'esempio;
ed anche questa sposa tua compagna
di quell'ignoto cammino che è la vita,
amala e difendila poiché domani ti potrà essere di rifugio.
E sii sincero giovane amico: se l'amore sarà forte
ogni destino vi farà sorridere.
Amala come il sole che invochi al mattino,
rispettala come un fiore che attende la luce del mattino,
sii questo per lei e, poiché questo lei deve essere per te
ringrazia Dio che ti ha concesso la grazia più luminosa della vita.
(S. Agostino)

venerdì 30 agosto 2019

Il tentativo di spiegare il male: l’esperimento Milgram.


Il male che abita dentro ognuno di noi, i meccanismi che ne gestiscono la quiescenza, i problemi etici e filosofici che interrogano da sempre l’uomo: oggi, molte domande vivono e si ripropongono con una urgente attualità. Qualcuno in tempi non lontanissimi, tentò anche di dare qualche  risposta.








Negli anni ’60 l’Europa era ancora sotto l’effetto dello shock di cosa il regime nazista era stato capace di fare. La condanna per i campi di sterminio e i genocidi razziali era stata unanime da tutto il mondo, ma dietro a quella c’era una domanda che ci si poneva sempre più spesso, soprattutto alla luce dei processi che stavano avendo luogo contro le gerarchie dell’esercito tedesco: com’è possibile che un’intera organizzazione militare, rappresentante per esteso di un intero popolo, era stata capace di atti di tale disumanità? È possibile che tutti fossero complici nel più grave episodio di annullamento dei diritti umani della storia dell’uomo? Domande che necessitavano una spiegazione.
Lo psicologo Stanley Milgram dell’Università di Yale ebbe un’idea molto pratica, che poteva dare la risposta alle domande che tutto il mondo, in quegli anni, si stava ponendo. Dal momento che la difesa più comune delle gerarchie naziste nei processi a loro carico risiedeva nel fatto che stessero solo “eseguendo degli ordini”, la domanda alla fine si traduceva in un’altra, strettamente collegata: è sufficiente che un’autorità esterna ci ordini di fare qualcosa, per renderci capaci di atti disumani? È sufficiente il senso di deresponsabilizzazione dovuto alla presenza di un’altra persona al comando a trasformarci in dei mostri? Era su questo che il celebre esperimento di Milgram voleva far luce...


Dal sito www.auralcrave.com di Carlo Affatigato