Nell'approcciare
l'ultimo film di Garrone, tratto dal secentesco “Lo cunto de li
cunti”del napoletano Basile, bisognerebbe staccarsi mentalmente ed
emotivamente dall'idea di fantasy così come è proposto oggi nel
cinema mainstream. Garrone infatti, utilizza tre delle cinquanta
favole-cunti,(Lo police,La donna scortecata e La cerva fatata)solo
come spunto iniziale per approntare il “suo” film, che del
tessuto narrativo archetipico delle favole in genere,e di quelle di
Basile nel caso, accoglie principalmente i caratteri essenziali della
universalità atemporale e della carnalità più umana e ferina,
frequente terreno di incontro-scontro, con il magico ed il
surreale.La scelta che traduce questo humus narrativo di partenza, in
linguaggio cinematografico, è poi di assoluta libertà autoriale,e
ci immerge nel personalissimo immaginario visuale del
regista,popolato di temi e simbolismi che hanno caratterizzato tutti
i suoi film precedenti.Nelle tre storie percepite come
un'unicum,sebbene separate,confluiscono intrecciandosi i tòpoi del
cinema di Garrone: la trasformazione del corpo, i meandri della
mente, l'amore coercitivo,la solitudine ineluttabile,l'arroganza del
potere,e l'inganno usato per imbrigliare la libertà e
l'emancipazione.Tutta una materia favolistica- e incandescente per
definizione-sia essa umana o bestiale, che nel delineare i suoi
personaggi ne scarnifica i valori e mette a nudo gli istinti
primordiali fino a renderli entrambi attigui e poco distinguibili.
Garrone tratteggia con gusto e capacità pittorica squisita(è nota
la sua formazione artistica),sullo sfondo iperrealistico di paesaggi
e scenari reali(tutti italiani),il
tempo sospeso dell'incanto;sostenuto
dalla fotografia dello straordinario Peter
Suschitzky.
L'alto e il basso, il mostruoso e il bizzarro convivono nei tre
racconti con la normalità fatta di dettagli e realtà minimale,in un
equilibrio composito che Garrone rispecchia dalle parole di Basile:
“l'equilibrio del mondo richiede d'esser mantenuto” e lo sarà,
soprattutto attraverso il prezzo del coraggio e sacrificio”. Ma
Garrone lavora anche per sottrazione, perchè non carica come ci si
aspetterebbe,con una partecipazione sentimentale e di sguardo il film
o i personaggi; ma mantiene una distanza
con quanto rappresentato, che sembra solo in apparenza, condizionare
il ritmo o l'adesione emozionale al film;
in
realtà, consegna attraverso questa voluta distanza allo
spettatore,quasi cristallizzandoli,il senso dello stupore e
l'ammirazione che dovrebbe conseguirne.
Il
film regala scene ed immagini di potente suggestione e bellezza,tra
le tante:il duello subacqueo tra il re e il drago marino(le
meravigliose gole dell'Alcantara in Sicilia), ed il fermo immagine di
un ponte sospeso che è la sintesi perfetta di quanto detto,a
proposito della capacità
pittorica
di Garrone. La bella colonna sonora di Desplat, lascia
opportunamente spazio ai silenzi
parlanti del
film.
Il
cast d'eccellenza straniero(Salma
Hayek,John C.Reilly,Toby Jones, Vincent Cassell)
giustificato dalla coproduzione internazionale, non dice niente di
nuovo a quanto già conosciuto.
Promette
bene, l'esordiente Bebe
Cave,
nel ruolo della principessa Viola.
Bravi,
con la sempre presente(ma ce ne siamo fatti ormai una ragione) Alba
Rohrwacher,
il redivivo Massimo
Ceccherini, e
Renato Scarpa.
Un
film coraggioso (il film è prodotto anche dallo stesso Garrone) e
originale, una rilettura personalissima e per certi versi spiazzante,
del genere fantasy. Che rimanda nel ricordo a certo cinema di
Pasolini(le favola iperrealistica di Uccellaci e Uccellini) e al
visionario esperimento formale de I
colori della passione di
Lech
Majewski.
Un
regista che ama le sfide e non si adagia al consenso Garrone.
E
questa personale riproposizione della
fabula
(con la sua valenza educativa e terapeutica),resta all'ammirazione
di
una umanità che oggi più che mai, sembra aver smarrito la
sua
pietas.
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