Les
quatre cents coups
di
François Truffaut, con il suo protagonista Antoine Doinel
(Jean-Pierre Léaud) rappresenta una tra le più vibranti,partecipate
ed efficaci trasposizioni cinematografiche delle inquietudini,delle
ribellioni,della incomunicabilità e solitudine profonda, che
accompagna la fase esistenziale dell'adolescenza. Partendo dal dato
autobiografico, quasi perfettamente sovrapponibile a quello del
personaggio del giovane Doinel; Truffaut interpretando il malessere
dell'adolescenza, demistifica l'eden descritto dal cinema dominante
de
papa e
da tanta letteratura,e fa assumere al film una valenza paradigmatica
del senso più complessivo della fase adolescenziale. Nel giovane
Antoine Doinel, convive la sintesi della spontaneità e della
fragilità,collocata però nel ritratto desolante e disarmante della
famiglia. Fin dalle prime inquadrature lo seguiamo,collocato in una
posizione,anche fisicamente, aliena.
Dorme infatti, in uno spazio angusto vicino alla porta d'ingresso, e
quindi per evidenza non solo simbolica,vive nella considerazione
della sua famiglia, una condizione di precaria provvisorietà.
Antoine
è gioioso e vivace, ma la sua natura si scontra continuamente contro
il muro dell'anaffetività materna. La madre Gilberte, che ha vissuto
in giovane età, la sua gravidanza illegittima come una iattura; lo
tollera malamente. Per superficialità, e perché in fondo lei
stessa, vive una condizione di frustrazione che la pone sullo stesso
piano di immaturità di Antoine; al quale invece, dovrebbe garantire
attenzione,comprensione e amore. La madre Gilberte,nella massima
espressione consentita dalla sua affettività, risponderà alle
richieste di attenzione di Antoine,solo con delle opportunistiche
offerte di complicità amicale. A questo proposito,è illuminante la
scena dello scambio di favori che propone ad Antoine:mille
franchi,come premio per un buon voto al tema scolastico; ma in
realtà, per comprare il silenzio di Antoine che l'ha vista baciarsi
con l'amante. Opportunamente, la scena è girata in campi e
controcampi molto ravvicinati,che sottolineano l'ambigua veridicità
del patto. Anche nella figura apparentemente più disponibile;quella
del patrigno che lo ha adottato, Antoine non può confrontarsi.
Perché anch'egli,risulta figura imbrigliata nelle meschinità
quotidiane, e limitata da vigliaccheria, se non da vera e propria
cecità culturale. La scuola con le figure degli insegnanti, e via
via tutte le figure che rappresentano l'Autorità, non fanno che
aggiungere incomprensione e repressione impositiva, alle istanze di
Antoine. Fino al decisivo imprimatur,che lo condanna a”ragazzo
socialmente incline a delinquere”.
Di lì a poco infatti,un poco convinto tentativo di furto, gli aprirà
le porte della prigione e del riformatorio, con buona pace dei
genitori e delle autorità tutte. Ma non è tutto compromesso,nella
vita di Antoine; c'è fortissimo, il valore dell'amicizia:
impersonato dal coetaneo René, unica figura sulla quale poter sempre
contare. E l'amicizia con il coetaneo, sarà infatti l'ancora di
Antoine per tutto il film, sostenendolo e proteggendolo
dall'incomprensione del mondo adulto. L'altro elemento
imprescindibile per Antoine: è la
strada,
e la stessa Parigi:vista come territorio elettivo, dove poter
experire se stessi. La strada ce lo farà vedere bighellonare,
correre, raccogliere confidenze, ascoltare quel mondo
altro, pulsante,che
si contrappone alla chiusura claustrofobica della famiglia. E per la
strade della città, incontriamo(come in tutti i film di Truffaut)
l'altro elemento:quello del cinema;
luogo accogliente,e nel quale potersi liberamente perdere.
La
strada dunque, come luogo dell'anima: dove l'autorità del professore
di ginnastica in uscita con la classe, perderà
progressivamente -in vicoli ed anfratti- tutta la coda di alunni.
Tutto ,beffardamente ed impietosamente inquadrato in una ripresa
dall'alto, così da rendere, quanto mai efficace, la distanza
incolmabile
con il mondo adolescenziale,che si pretende di educare come un
plotone di soldati. E da quelle stesse strade,così pesantemente
investite di valori affettivi, che gli hanno consentito di respirare
l'ossigeno vitale di cui è sempre stato in deficit. Da quelle
strade,Antoine,si separerà dietro le grate di un cellulare, mentre
va in riformatorio. E sarà l'unica volta che lo vedremo piangere. In
riformatorio,misurerà il vuoto che ormai lo separa da un mondo
percepito come estraneo e dall'unico affetto, quello di René, ormai
perduto. Non resta che un ultima, lunghissima carrellata a
mostrarcelo in fuga, ancora una volta. Ma la fuga verso il mare mai
conosciuto,e che nella sua evidente simbologia è presente come
anelito in tutto il film: si porta dietro, una nuova consapevolezza.
E nell'incontro/ricongiungimento finale con il mare/madre che
profila il vero inizio della sua vita da adulto,finalmente libero; la
macchina da presa, mostra Antoine che si ritrae dall'acqua, e stringe
sul suo volto, consegnandocelo in un fermo immagine.
A
noi che lo guardiamo,la possibilità di rispecchiarci
in quel volto; di ritrovarci e sentirci invecchiati, nel ritrovare i
segni che l'esperienza ha lasciato in noi. E poter scegliere tra due
possibili interpretazioni di quello sguardo: la scoperta della fine
dell'illusione, e quindi il contatto col limite, o come
un'affermazione di libertà, di una possibilità di salvezza,e quindi
di speranza.
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