Prendendo
a prestito la nota citazione di Gassmann, si può dire che questo
capitolo conclusivo della saga reboot targata Matt Reeves,con il suo
protagonista Cesare, si proponga come un ritorno-reinizio delle
origini del cinema classico hollywoodiano e al contempo si
costituisca come una interessante riflessione- rilettura sul cinema
di genere stesso. I due capitoli precedenti avevano seguito Cesare
nel percorso evolutivo che da vittima delle storture umane,sociali e
politiche, l'aveva trasformato in capo spirituale dei suoi simili.
Subentrato nel secondo capitolo, Reeves diventa, in questo che ne è
la conclusione, anche cosceneggiatore con Mark Bomback; portando a
compimento un affresco totalizzante, denso di riferimenti
cinematografici e filosofici sedimentati nell'immaginario collettivo,
ma anche una proposta personale di cinema
che da questo immaginario trae una sintesi e una interpretazione
efficacemente riuscita e personale. Abbondano i riferimenti, in
questa cavalcata post apocalittica: gli spazi e la fotografia da
aperti e luminosi si adattano via via a vestire, commentandoli, i
cambiamenti emotivi e i tormenti di Cesare. Seguiranno, lo snodo
esiziale dell'incontro con il villain
umano,
colonnello Woody Harrelson, bravo quanto basta in un ruolo che ne
limita per definizione, le possibili sfumature. La fotografia che
diventa sempre più scura, negli spazi angusti delle grotte e del
campo lager, darà spazio e luce solo ai primi piani emotivi di
Cesare, uno straordinario Andy Serkis da oscar. Apocalipse now,
Schindler's list, Ben
Hur ma anche l'Ethan Edwards di Sentieri Selvaggi si avvicendano
sullo schermo suggeriti dai tormenti,dai mille dubbi sulle
responsabilità di un capo,dal desiderio primigenio di vendetta,
dalle istanze, suggerite dalla purezza senza
voce della
bambina umana. C'è qualche indulgenza retorica di troppo, è vero.
Sottolineata da incursioni sonore un po' troppo enfatiche, qui e là.
Ma poca cosa, rispetto al grande spettacolo che scorre sullo schermo:
un montaggio serrato che unito allo splendore della
motion capture, che
ormai ha raggiunto livelli altissimi;
conduce l'epopea biblica di Cesare e della sua specie, a riscoprire
la linea di confine che unisce scimmie e quel che resta della nostra
umanità .Quel ponte tutto emotivo e sentimentale che gli/ci
consentirà di sopravvivere, restituendoci l'alba di un possibile
futuro negli spazi, da abitare, della sequenza finale.
Il
segno di una possibile civiltà, sullo schermo e per una volta, senza
distinzioni di specie.
Grande
cinema. Applausi.
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