Il
ponte sospeso del desiderio,tra sogno e risveglio,nei colorati
anni70'.
Di
non facile approccio questo Vizio
di Forma,ultimo
capitolo nella filmografia di Paul T. Anderson;
tratto
dall'omonimo racconto di Thomas Pyncheon, monolite e scheggia
impazzita della letteratura post moderna americana . Ma al Nostro non
difetta evidentemente nè coraggio nè il gusto della sfida, se ha
deciso di misurarsi con lo scrittore meno catalogabile e dalla
scrittura più stratificata e camaleontica della letteratura
americana negli ultimi 30 anni. Il personaggio di Sortilège(la
cantautrice ed arpista Johanna
Newsom)
voice over di tutto il film ed all'uopo presenza in carne ed ossa; è
il Virgilio che ci introduce,sullo sfondo della spiaggia di Gordita
Beach in California, nella vita del detective “fattone”Doc
Sportello(uno strepitoso Joaquin
Phoenix).
E
dalle nebbie di un passato felice e mai oscurato nel ricordo,compare
all'improvviso la ex Shasta Fay(rivelazione Caterine
Waterston),
che gli chiede aiuto per indagare sulla scomparsa del suo attuale
amante, il miliardario Mickey
Wolfmann(Eric
Roberts),supponendo
un complotto ordito dalla moglie per eliminarlo e nel quale
coinvolgerla.
Questo
l'incipit che mette in moto il “viaggio” di Doc per dipanare il
caso, e lo porterà ad interloquire con il poliziotto irrisolto
"Bigfoot"
Bjornsen(l'ottimo Josh
Brolin),il
sassofonista tossico e spia in incognito Coy Harlingen(un candido
Owen
Wilson),la
disinvolta procuratrice ed attuale compagna Penny Kimball(Reese
Witherspoon),
l'amico avvocato Sauncho Smilax(Benicio
Del Toro),il
capo di una lobby di dentisti
Rudy
Blatnoyd(Martin
Short),
ed una fantasmagorìa di bizzarri e colorati personaggi che faranno
da contrappunto ritmico allo svolgersi del racconto.
Il
viaggio di Doc nella California simbolo e contenitore di tutte le
istanze dell'America dei Seventines, che segue con la sua
ubriacatura,i favolosi 60,anni del sogno e della possibilità;
procede attraverso i colori di una realtà lisergica,filtrata
dall'espressione degli occhi sgranati di Doc, in continua
oscillazione tra l'incredulità divertita(e si ride molto in buona
parte del film) e lo smarrimento impotente. L'interazione di Doc con
gli altri protagonisti,costituisce per l'indagine, ora una sosta, ora
una digressione, ora un diversivo depistante. Con una serie di
rimandi continui ad altri possibili percorsi e scenari,e con
l'insorgere di nuovi dubbi e sorprese eventuali ed inaspettate. Pur
considerando i richiami letterari e cinematografici nel solco del
noir, che vanno dal Chandler più classico, alla rilettura del Lungo
addio
fatta da Altman,e
del quale Anderson ha sempre dichiarato di sentirsi figlio; Doc
mostra un atteggiamento in parte ancora non disincantato, come molti
dei personaggi che lo circondano, e questo consente ad entrambi, una
distanza spensieratamente autarchica,una sorta di collocazione
atemporeale ed ironica del proprio“sentire”; pur trovandosi
totalmente immersi nella realtà storica dell'America dove si
incrociano ed incombono cupamente,le figure di Nixon e della setta
Manson .Gli stretti primi piani, usati per lo più da Anderson nel
film insieme a campo e controcampo, ci riportano al disegno
sostanziale di una geografia dell'anima che vuol “sentire”, al di
là della storia nella quale è inserita. E' un territorio di
confine,il luogo dove Doc vagheggia pur sapendolo impossibile, il
ritorno “ad un giorno di pioggia dove con Shasta è stato felice,
senza perchè e senza preavviso”. E' lì, che malinconicamente
mentre sussiste un risveglio straniante, si anela contemporaneamente
un impossibile ritorno;nella consapevolezza finale che può portare
soltanto,”a fare del nostro meglio”. Il film sembra senz'altro
cogliere il mood, sospeso e cristallizzato in questa tensione
dell'anima verso una condizione inconsapevolmente felice, che
sappiamo ormai pregiudicata e lontana.Lo stesso Doc reca
scritto,quasi a monito, sulla porta del suo ufficio LSD.
E l'acronimo,in questo caso ,sta per Localizzazione,
Sorveglianza,Discrezione.
Quasi un'anticipazione della feroce restaurazione che di lì a poco
avrebbe annientato quelle pulsioni,travolgendo l'America e non solo.
Va
sottolineato il lavoro meticoloso di ricostruzione degli anni 70,
nei costumi nelle scenografie e nella splendida fotografia di
Robert Elswit,
che si muove tra le nebbie delle luci a neon ed i colori di una
solare California; esaltata ad hoc peraltro , dall'uso del 35 mm.
Evocative e puntuali le musiche di Jonny
Greenwood,
con la canzone cameo di Neil Young “Journey Through the Past”.
E'
da ritenersi senz'altro colpevole, chi non riconoscendo la grandezza
di questo film,lo ha ascritto ad uno dei minori di Anderson. Ed
ancor più incomprensibile, risulta la mancata candidatura di Phoenix
agli
oscar.
Da
vedere
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